Per un diciottenne tedesco, nell’anno 2026, il futuro appare come un orizzonte di scelte quasi illimitate: l’università da scegliere, un viaggio per scoprire il mondo, il primo contratto di lavoro che segna l’inizio dell’indipendenza. Ma un giorno, tra le email di routine, ne arriva una che non può essere ignorata. Il mittente è il Ministero della Difesa. Il suo contenuto non è una proposta, ma un obbligo: rispondere a un questionario che determinerà la sua idoneità a indossare una divisa. E scoprire che, in assenza di un numero sufficiente di volontari, il suo nome potrebbe essere estratto a sorte, affidando un anno della sua vita al puro caso.
Questa non è la trama di un film distopico, ma la cruda realtà che si profila all’orizzonte per centinaia di migliaia di giovani in Germania. La reintroduzione del servizio militare, a quasi quindici anni dalla sua sospensione, non è un semplice ritorno al passato. È un esperimento sociale, politico e militare che scuote la nazione dalle fondamenta, mettendo in discussione la sua identità pacifista e costringendola a fare i conti con una parola tanto potente quanto divisiva: Kriegstüchtigkeit. Prontezza alla guerra. Ma come si costruisce un esercito moderno partendo da una generazione che la guerra l’ha vista solo sugli schermi? E cosa succede quando lo Stato, in nome della sicurezza collettiva, si affida al caso per scegliere chi dovrà difenderla?

Un’eco dal passato: la Germania riscopre la coscrizione
Per capire la portata di questa rivoluzione, bisogna fare un passo indietro. Nel 2011, la Germania salutava la leva obbligatoria, considerandola un residuato della Guerra Fredda, un rito di passaggio anacronistico in un’Europa pacificata. L’esercito, la Bundeswehr, si trasformava in una forza di professionisti, più snella, più specializzata. Sembrava una scelta definitiva, il sigillo su un’epoca. Ma la storia, si sa, non scorre mai in linea retta. L’invasione dell’Ucraina ha agito come un elettroshock, risvegliando l’Europa dal suo torpore strategico. Il cancelliere Olaf Scholz l’ha definita una Zeitenwende, una svolta epocale, e questa riforma ne è la conseguenza più tangibile e personale per i cittadini.
Oggi, le discussioni che animano i talk show e i forum online tedeschi non vertono più sul se la Germania debba riarmarsi, ma sul come. L’obiettivo dichiarato è ambizioso: portare la Bundeswehr dagli attuali circa 182.000 effettivi a una forza di 260.000 soldati, rendendola, nelle parole del leader della CDU Friedrich Merz, “l’esercito più forte d’Europa”. Un’affermazione che, pronunciata in Germania, porta con sé un peso storico incalcolabile. Per raggiungere questo traguardo, però, i volontari non bastano più. Ed è qui che il dibattito si infiamma, perché la soluzione proposta tocca le corde più profonde della libertà individuale e della giustizia sociale.

Non più la “naja” di una volta: come funzionerà il nuovo modello ibrido
Dimenticate la vecchia “naja”, con le sue camerate affollate e i rituali nonnismo. Il modello a cui sta lavorando il governo di Berlino è un sistema ibrido, un complesso equilibrio tra dovere e scelta. A partire dal 2026, tutti i giovani uomini che compiono 18 anni saranno obbligati a rispondere a un questionario online. Dovranno fornire informazioni sulla loro salute, le loro competenze e, soprattutto, la loro motivazione a servire il Paese. Per le giovani donne, la compilazione resterà volontaria, aprendo subito un acceso dibattito sulla parità di genere che serpeggia in ogni discussione pubblica.
In una prima fase, si punterà tutto sulla persuasione. Il servizio militare, della durata minima di sei mesi, verrà presentato come un’opportunità di crescita, con una formazione moderna e incentivi economici. L’obiettivo del Ministro della Difesa, Boris Pistorius, è quello di attrarre almeno 40.000 volontari all’anno, un salto enorme rispetto ai circa 15.000 attuali. Ma cosa accadrà se questo numero non verrà raggiunto? Se la stragrande maggioranza dei 350.000 giovani idonei per ogni classe di leva decidesse semplicemente di ignorare il richiamo della patria?

Il cuore del dibattito: la “roulette russa” del sorteggio
Ecco il punto di rottura, l’elemento che trasforma una riforma militare in un dramma esistenziale: il Losverfahren, il sorteggio. È stata la CDU/CSU a insistere per inserire questo meccanismo nella legge. Se i volontari non basteranno a riempire le caserme, lo Stato si riserverà il diritto di estrarre a sorte i nomi di chi dovrà prestare servizio obbligatoriamente. Una lotteria del destino che ha scatenato un putiferio politico e sociale.
Le critiche sono feroci. Sui social e nei commenti ai giornali online, l’indignazione è palpabile. C’è chi la chiama la “lotteria degli sfigati”, dove chi pesca la “Arschkarte” (la carta del culo, in gergo) vede la propria vita messa in pausa per decreto. Non si tratta di scegliere i migliori o i più motivati, ma semplicemente i più sfortunati. Questa logica del caso solleva questioni etiche profonde. È giusto che la difesa di una nazione democratica si basi su un meccanismo che ricorda più un gioco d’azzardo che un principio di equità? E quale sarà la motivazione di un soldato che si ritrova in divisa non per scelta, ma perché il suo nome è uscito da un’urna? Il rischio, secondo molti critici, è quello di creare un esercito di coscritti demotivati e risentiti, l’esatto opposto del soldato moderno e consapevole di cui la Bundeswehr avrebbe bisogno.

“Kriegstüchtigkeit”: una parola che divide una nazione
Per comprendere l’animo di questo dibattito, è essenziale afferrare il significato di una parola tedesca quasi intraducibile: Kriegstüchtigkeit. Non è solo “prontezza alla guerra”, è qualcosa di più profondo. Implica una disposizione mentale, una capacità sistemica, una resilienza psicologica e industriale a sostenere un conflitto. Per decenni, questa parola è stata un tabù, un fantasma della storia tedesca da tenere rinchiuso nell’armadio. Oggi, Boris Pistorius l’ha riportata al centro del discorso pubblico, affermando che la Germania deve tornare a essere kriegstüchtig.
Questa affermazione ha spaccato il Paese. Per alcuni, è un’ammissione di realismo necessaria di fronte alla minaccia russa. Per altri, è una pericolosa regressione a una mentalità militarista che la Germania aveva faticosamente superato. La reintroduzione della leva diventa così il simbolo di questo scontro culturale. È il tentativo di infondere la Kriegstüchtigkeit non solo nelle strutture militari, ma nella società stessa, a partire dalle sue generazioni più giovani. Ma si può insegnare la prontezza alla guerra a chi è cresciuto con i valori della pace, del dialogo e dell’integrazione europea?

Una generazione allo specchio: cosa pensano davvero i giovani tedeschi?
Mentre la politica discute, la Generazione Z osserva con un misto di ansia, scetticismo e aperta ostilità. I sondaggi parlano chiaro: se la popolazione generale è tendenzialmente favorevole al ritorno della leva, i diretti interessati, i giovani tra i 18 e i 30 anni, sono in larga parte contrari. Le loro obiezioni non sono solo ideologiche, ma profondamente pratiche. In un’economia competitiva, un anno di “pausa” forzata può significare perdere il passo con i coetanei, ritardare l’ingresso all’università o nel mondo del lavoro.
E poi c’è la questione di genere. “Perché solo gli uomini?”, si chiedono in molti, non solo le donne. Se il servizio alla nazione è un dovere civico, perché discriminarlo in base al sesso? Questa domanda, che emerge con forza dalle discussioni online, mette in crisi la logica stessa della riforma e rivela una profonda disconnessione tra le categorie mentali di una certa politica e la realtà di una generazione per cui la parità di genere è un valore non negoziabile. C’è persino chi, con amara ironia, si chiede cosa succederebbe se, per protesta, migliaia di coscritti si dichiarassero non-binari o iniziassero un percorso di transizione di genere. L’apparato burocratico della Bundeswehr sarebbe pronto a gestire una simile complessità?

Caserme come funghi: l’imponente sforzo logistico dietro la riforma
La discussione non è solo teorica. Dietro le quinte, la macchina organizzativa è già in moto, ed è colossale. Il governo ha stanziato miliardi per un piano che prevede la costruzione di 40.000 nuovi alloggi per le reclute entro il 2031. Si parla di 270 nuovi edifici in circa 120 caserme, costruiti con procedure standardizzate e accelerate, quasi “in serie”. Un’operazione che un commentatore ha definito “costruzione di caserme come alla catena di montaggio”.
Questo sforzo titanico dimostra che non si tratta di un’idea campata in aria. La Germania sta investendo pesantemente per creare le infrastrutture necessarie ad accogliere decine di migliaia di giovani ogni anno. Le vecchie caserme dismesse, che negli ultimi anni erano state convertite in alloggi per studenti o centri per rifugiati, vengono ora reclamate dall’esercito. È un’inversione di tendenza che ridisegna fisicamente il paesaggio di molte città tedesche, rendendo visibile e tangibile il ritorno del militare nella vita civile.

Oltre la divisa: quale impatto sul tessuto sociale ed economico?
Le implicazioni di questa riforma vanno ben oltre i cancelli delle caserme. Quale sarà l’impatto sul mercato del lavoro, già a corto di manodopera qualificata? Le aziende, che nel 2011 plaudirono alla fine della leva perché liberava forza lavoro, come reagiranno ora? E il mondo dell’università, dovrà adattare i suoi cicli di studio a una realtà in cui una parte significativa degli studenti maschi arriverà con un anno di ritardo?
Ma la domanda più profonda è un’altra: questo nuovo servizio militare riuscirà a creare un senso di coesione nazionale, un ponte tra giovani di diversa estrazione sociale, come sostengono i suoi fautori? O, al contrario, il meccanismo del sorteggio creerà una nuova, pericolosa frattura sociale tra i “fortunati” che potranno continuare la loro vita e gli “sfortunati” obbligati a servirla? La risposta a questa domanda non definirà solo il futuro della Bundeswehr, ma il carattere stesso della società tedesca di domani.

Un bivio per la Germania e un interrogativo per l’Europa
La Germania si trova a un bivio. La scelta di reintrodurre una forma di coscrizione basata sul sorteggio è una scommessa audace, forse disperata, per conciliare il bisogno di sicurezza con i valori di una società libera e individualista. È il tentativo di rispondere a una minaccia esterna senza sacrificare del tutto la cultura democratica interna. Ma il rischio di fallimento è altissimo.
E mentre Berlino si interroga, il resto d’Europa osserva con attenzione. Il modello tedesco potrebbe diventare un laboratorio per altre nazioni che affrontano dilemmi simili? O resterà un unicum, il prodotto peculiare della storia e delle contraddizioni di un Paese che lotta per definire il suo nuovo ruolo nel mondo? La posta in gioco non è solo la forza di un esercito, ma l’anima di una generazione e, forse, l’equilibrio di un intero continente. E tutto, incredibilmente, potrebbe dipendere dal capriccio di un sorteggio. Quale sarà la prossima nazione a lanciare i dadi?