Ole Nymoen

In una Berlino che porta ancora impresse le cicatrici fisiche e psicologiche del Ventesimo secolo, a volte basta un sussurro per trasformarsi in un boato. Questa volta, il sussurro ha preso la forma di un documento di poche pagine, quasi dimesso nella sua veste grafica, ma deflagrante nel suo contenuto. Si intitola semplicemente “Manifesto per la Pace“, ma il suo impatto ha scosso le fondamenta della politica tedesca. Firmato da esponenti di spicco e da vecchie glorie del Partito Socialdemocratico (SPD), il partito dell’ex Cancelliere del riarmo Olaf Scholz, questo testo è molto più di una proposta politica: è uno specchio che riflette l’anima divisa di una nazione, sospesa tra l’eredità pacifista della sua storia e le brutali esigenze di un presente segnato dalla guerra.

Il manifesto per la pace della SPD non è emerso nel vuoto. È il culmine di un malessere che serpeggiava da mesi nei corridoi del Bundestag e nelle sezioni di un partito che si trova a gestire la più grande svolta strategica della Germania dal dopoguerra: la Zeitenwende. Proprio mentre il governo guidato dalla SPD stanziava cento miliardi per riarmare l’esercito e inviava armi pesanti in Ucraina, una parte significativa della sua base e della sua classe dirigente si interrogava, con crescente angoscia, sulla direzione intrapresa. Questo manifesto è la loro risposta, un grido che cerca di riportare le lancette della storia a un’epoca in cui la parola “distensione” non era considerata una bestemmia.

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Il Ritorno di un’Eco Lontana: Cosa Chiede Davvero il Manifesto

Per comprendere la portata di questo documento, bisogna ascoltarne l’eco. È un’eco che proviene direttamente dagli anni ’70, dall’Ostpolitik di Willy Brandt, l’architettura politica che cercava il cambiamento attraverso l’avvicinamento (Wandel durch Annäherung). Il manifesto non è un programma elettorale, ma una filosofia. I suoi firmatari, figure come l’ex capogruppo Rolf Mützenich e l’esperto di politica estera Ralf Stegner, non si limitano a chiedere più diplomazia; invocano un cambio di paradigma. Criticano aspramente quella che definiscono una “logica di guerra” e una “retorica dell’allarme militare” che, a loro avviso, sta spingendo l’Europa verso un riarmo sconsiderato, una nuova Corsa agli armamenti che prosciuga le risorse destinate al welfare e alla transizione ecologica.

Al centro della loro visione c’è il concetto di “sicurezza comune”. L’idea, tanto semplice quanto rivoluzionaria, è che nell’era nucleare la sicurezza non può essere raggiunta gli uni contro gli altri, ma solo insieme. Questo significa, nel lungo periodo, costruire un’architettura di sicurezza europea che non escluda la Russia, per quanto oggi possa apparire impensabile. Si parla di riattivare i canali del dialogo, di riprendere i negoziati sul controllo degli armamenti come il trattato New START, e di promuovere una dottrina di “difesa difensiva”, ovvero dotarsi di armamenti che non possano essere interpretati come una minaccia offensiva. È il linguaggio di un’altra epoca, di un mondo che credeva nella forza della pazienza e del negoziato, anche con l’avversario più ostile. È un appello a non considerare la guerra l’unica opzione rimasta sul tavolo.

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Realitätsverweigerung: La Voce Dura della Nuova Realtà Tedesca

Se il manifesto è un’eco del passato, la risposta è stata un tuono del presente. E la voce più potente è stata quella di Boris Pistorius, il Ministro della Difesa, anche lui socialdemocratico, ma diventato in pochi mesi il simbolo di questa nuova Germania pragmatica e disillusa. Le sue parole, pronunciate con la consueta calma assertiva, sono state una sentenza: liquidare le proposte del manifesto come “negazione della realtà” (Realitätsverweigerung). Per Pistorius e per la maggioranza del governo, l’appello alla diplomazia ignora un fatto fondamentale: Vladimir Putin non ha mostrato alcun interesse a negoziare in buona fede. Anzi, ha interpretato ogni tentativo di dialogo come un segno di debolezza occidentale.

La critica dei “falchi” della SPD e degli altri partiti di governo è netta e si fonda sul trauma collettivo del 24 febbraio 2022. Quel giorno, non è stata invasa solo l’Ucraina; è crollato un intero edificio di certezze su cui si basava la politica estera tedesca. L’idea che il commercio potesse ammorbidire le autocrazie, che il dialogo fosse sempre e comunque la soluzione, si è sbriciolata sotto i colpi dei carri armati russi. Da questa prospettiva, l’unica lingua che il Cremlino comprende è quella della forza. Il riarmo e il sostegno militare all’Ucraina non sono quindi una scelta tra le tante, ma una necessità esistenziale per difendere l’ordine liberale in Europa. Qualsiasi esitazione, qualsiasi “se” o “ma”, viene percepito non solo come ingenuo, ma come pericoloso, un invito a ulteriori aggressioni. La spaccatura nella SPD tra Ucraina e Russia è diventata così la metafora della lotta interiore di un intero Paese.

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Un’Analisi Imperfetta ma Necessaria: La Critica Ragionata

In mezzo a questo scontro tra titani ideologici, alcune voci sulla stampa tedesca, come quella dell’analista Martin Krohs sulla rivista IPG, hanno cercato di offrire una lettura più sfumata. Nessun osservatore serio può ignorare le debolezze strutturali del manifesto. La critica più fondata è la sua vaghezza strategica: come, esattamente, si dovrebbe avviare un negoziato con un avversario che punta alla sottomissione del vicino? Il documento non offre una road map praticabile. Inoltre, la sua ricostruzione storica è stata accusata di parzialità, una forma di Geschichtsklitterung (falsificazione storica), perché elenca meticolosamente i presunti errori dell’Occidente – dall’espansione della NATO all’intervento in Serbia – lasciando quasi in secondo piano le violazioni sistematiche del diritto internazionale da parte della Russia in Cecenia, Georgia, Siria e, naturalmente, in Ucraina dal 2014.

Eppure, liquidarlo come semplice propaganda filorussa o come il delirio di inguaribili nostalgici sarebbe un errore intellettuale. Il manifesto, con tutte le sue imperfezioni, ha il merito di porre domande che la retorica dominante tende a eludere. Se la strategia militare è l’unica via, qual è l’obiettivo finale? Una vittoria totale? E a quale costo umano e materiale? Se il riarmo è la risposta, dove ci si ferma? Il 2%, il 3% del PIL? E chi pagherà il conto sociale? Inoltre, come sottolinea Krohs, è interessante notare una sorta di ipocrisia speculare: se il manifesto viene criticato per la sua visione parziale, anche la narrazione ufficiale tende a rimuovere sistematicamente ogni possibile corresponsabilità occidentale nella lunga e complessa genesi della crisi. Il documento, quindi, agisce come un reagente chimico, rivelando le crepe e le contraddizioni di entrambe le posizioni.

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Oltre i Confini della Germania: Un Dibattito Globale

Un altro errore sarebbe considerare questa una disputa puramente tedesca. Sebbene in Germania la posizione delle “colombe” sia oggi minoritaria, nel dibattito internazionale il quadro è molto più variegato. Nel mondo anglosassone, voci autorevoli della scuola realista, pur condannando senza appello l’invasione russa, hanno da tempo messo in guardia contro le conseguenze di una politica occidentale che ha ignorato le linee rosse di Mosca. Le loro analisi, spesso liquidate come “putiniane” in Europa, trovano invece ampio spazio nelle università e sui think tank americani.

Ancora più significativo è lo sguardo dal Sud Globale. In gran parte dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina, la narrazione di una guerra tra democrazie e autocrazie viene accolta con scetticismo, se non con aperta diffidenza. Per molti di questi Paesi, che hanno vissuto sulla propria pelle le conseguenze delle ingerenze delle grandi potenze, il conflitto in Ucraina è visto primariamente come una guerra per procura tra Russia e NATO. Non si tratta di giustificare l’aggressione di Putin, ma di rifiutare una visione del mondo in bianco e nero, preferendo un approccio pragmatico che invoca un cessate il fuoco e negoziati. La posizione del manifesto SPD, quindi, pur apparendo isolata a Berlino, risuona con le sensibilità di una vasta parte del pianeta.

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L’Ombra del Passato, la Paura del Futuro: Il Dilemma Esistenziale Tedesco

Per capire veramente perché questo manifesto pace SPD abbia toccato un nervo così scoperto, bisogna andare oltre la geopolitica e immergersi nella psicologia collettiva tedesca. La Germania del dopoguerra è stata costruita su due imperativi categorici, spesso in conflitto tra loro: “Mai più guerra” (Nie wieder Krieg) e “Mai più Auschwitz” (Nie wieder Auschwitz), che implica il dovere di intervenire per fermare un genocidio o un’aggressione brutale. Per decenni, il primo imperativo ha dominato, plasmando una cultura di pacifismo e riluttanza militare. La Zeitenwende ha improvvisamente fatto pendere la bilancia verso il secondo.

La SPD è l’incarnazione perfetta di questo dilemma. È il partito di Brandt, l’architetto della pace attraverso il dialogo, ma è anche il partito di Scholz, l’ex cancelliere del riarmo. Questa schizofrenia non è ipocrisia, ma il riflesso di un trauma storico irrisolto. Il manifesto è un grido che proviene dall’anima della “vecchia” Repubblica Federale, quella che aveva fatto della moderazione e del multilateralismo la sua ragion d’essere. È un tentativo disperato di non abbandonare un’identità costruita in settant’anni, di fronte a una nuova realtà che sembra richiedere un ritorno alla logica della potenza che la Germania pensava di aver superato per sempre. È una battaglia non solo per la linea di un partito, ma per l’anima di un Paese.

In conclusione, questo dibattito è destinato a continuare, perché non offre soluzioni facili. Non c’è una risposta giusta e una sbagliata. C’è solo la tensione lancinante tra l’aspirazione a un mondo governato dalla diplomazia e la necessità di affrontare un mondo in cui la forza bruta è tornata a essere un attore protagonista. Il sussurro del manifesto non offre la via d’uscita, ma ha costretto una nazione intera, e con essa l’Europa, ad ascoltare il silenzio assordante delle proprie contraddizioni. E in questo, forse, risiede il suo inatteso, doloroso, ma indispensabile valore.

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