C’è un suono che le generazioni cresciute nella pace europea credevano di aver relegato ai libri di storia. È il sibilo acuto e ondulante di una sirena di allarme, un tempo un’eco lontana di un passato che sembrava sepolto sotto le macerie della Guerra Fredda. Oggi, quando quel suono torna a farsi sentire in alcune città tedesche, non è più una semplice formalità. È un promemoria. Un’inquietudine strisciante che si insinua nelle conversazioni, nelle ricerche online, nei silenzi a tavola.

La Germania, il cuore pulsante e pacificato d’Europa, sta parlando di guerra. Non come un’ipotesi remota, ma come una possibilità tangibile per cui bisogna essere pronti. La preparazione alla guerra in Germania non è più un argomento da “prepper” o da teorici della cospirazione, ma un dibattito nazionale che spacca l’opinione pubblica, contrapponendo la fredda logica della sopravvivenza alla fervente protesta politica e al profondo esame di coscienza morale.

Per capire cosa sta accadendo, è necessario ascoltare le tre voci che, più di altre, stanno definendo questa nuova, spaventosa normalità: la voce pragmatica dello Stato, quella rabbiosa della protesta e quella addolorata della coscienza collettiva.

Parata Mosca 9 Maggio

La Voce dello Stato: La Resilienza come Arma di Difesa

Immaginate un uomo di 65 anni, con un ruolo che fino a poco tempo fa sembrava quasi burocratico: Presidente dell’Ufficio Federale per la Protezione Civile e l’Assistenza in caso di Catastrofi (BBK). Il suo nome è Ralph Tiesler e oggi ha il compito più difficile di tutti: preparare 84 milioni di persone al peggio, senza scatenare il panico. In una recente, e molto discussa, intervista con il quotidiano ZEIT ONLINE, Tiesler ha usato parole che hanno fatto il giro del Paese. Ha parlato di una “Zeitenwende 2.0”, una seconda svolta epocale dopo quella annunciata dal Cancelliere Scholz all’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina.

La minaccia, spiega, non è quella di un’invasione su larga scala, di “carri armati russi che rotolano per la Germania”. Lo scenario è più sottile, ma non meno devastante: la Germania come hub logistico cruciale della NATO, soggetta ad attacchi mirati a infrastrutture critiche e a trasporti militari. Una guerra ibrida, fatta di colpi chirurgici.

E qui arriva il cuore del suo messaggio, un concetto che sta diventando il mantra della nuova difesa tedesca: la resilienza. “Una popolazione che non è preparata a nulla agisce come un bersaglio facile”, afferma Tiesler. “Una società resiliente, invece, viene presa sul serio come potenziale avversario”. La preparazione, quindi, non è solo una questione di sopravvivenza, ma una forma di deterrenza attiva.

Ma cosa significa, in pratica, essere “resilienti”? I consigli di Tiesler sono sorprendentemente concreti, quasi casalinghi. Ogni famiglia dovrebbe avere scorte di acqua e cibo per più di tre giorni. Dovrebbe preparare un Notrucksack, uno zaino d’emergenza con dentro l’essenziale: documenti, una radio a manovella, una torcia, vestiti.

Poi arriva l’immagine che più di tutte ha colpito l’immaginario collettivo. Di fronte alla carenza di bunker pubblici, smantellati dopo la fine della Guerra Fredda, Tiesler offre una soluzione decentralizzata: “Nahezu jeder Keller kann zu einem sicheren Ort bei Angriffen werden”. Quasi ogni cantina può diventare un luogo sicuro durante gli attacchi. Non serve un bunker high-tech. Bastano assi di legno e sacchi di sabbia davanti alle finestre per proteggersi da schegge e onde d’urto. È una visione che riporta la difesa alla dimensione individuale, quasi primordiale. L’idea è quella di creare migliaia di piccoli rifugi diffusi, veloci da raggiungere nei pochi minuti tra l’allarme e l’impatto. È il pragmatismo tedesco applicato all’apocalisse.

Germania e Preparazione alla Guerra

La Voce della Protesta: “Fermate i Guerrafondai!”

Se la visione di Tiesler rappresenta l’establishment che cerca di gestire la crisi, esiste una contro-narrazione potente e rabbiosa che la rifiuta in toto. Questa voce emerge con forza da testate alternative come Manova, che in un recente editoriale infuocato ha definito il (fittizio, in questo scenario del 2025) Cancelliere Friedrich Merz “Ein Kanzler des Krieges”, un cancelliere della guerra.

Qui il tono cambia radicalmente. Non c’è pragmatismo, ma accusa. L’autore, che si presenta come un padre di famiglia, non vede la minaccia principale in Mosca, ma a Berlino. Accusa la classe politica di mentire sulle vere cause del conflitto ucraino, descrivendolo come una “guerra per procura” degli Stati Uniti, iniziata nel 2014 e alimentata dall’espansione aggressiva della NATO.

Il punto di rottura, la linea rossa che terrorizza questa parte della società, è la discussione sulla fornitura dei missili a lungo raggio Taurus. Per il governo e i suoi sostenitori, è un aiuto necessario a un partner in difficoltà. Per critici come l’autore di Manova, è un atto che trascinerebbe la Germania direttamente in guerra. “Sta mettendo in pericolo la vita di mia figlia”, scrive, trasformando un dibattito geopolitico in un grido personale e disperato.

Questa visione ribalta la logica della deterrenza di Tiesler. La vera sicurezza, per loro, non si ottiene armandosi, ma de-escalando. La preparazione alla guerra in Germania, in questa prospettiva, non è una misura difensiva, ma il sintomo di una classe dirigente “bellicista” (bellizistisch) che ha perso ogni contatto con la volontà popolare e che sta giocando con il fuoco, rischiando un conflitto mondiale per servire interessi stranieri. È una visione che trova terreno fertile in una parte della popolazione stanca delle sanzioni, della retorica militare e del costante senso di allarme.

bomba atomica tedesca

La Voce della Coscienza: L’Inquietante Ebbrezza della Guerra

Tra il pragmatismo dello Stato e la rabbia della protesta, c’è una terza via. È una voce più sommessa, riflessiva, che non punta il dito contro un nemico esterno o un politico interno, ma guarda allo specchio e si interroga sull’anima stessa della nazione. Questa voce è emersa in un editoriale del caporedattore del Nordkurier, un giornale regionale, di fronte alle immagini delle imponenti esercitazioni NATO sul Mar Baltico.

L’articolo non contesta la necessità di una difesa. Contesta qualcosa di più sottile e pericoloso: l’atteggiamento con cui la società sta iniziando a guardare alla guerra. L’autore parla di una crescente “Kriegsgeilheit”, un termine tedesco difficile da tradurre, che sta tra l’ebbrezza, la frenesia e una sorta di morbosa esaltazione per la guerra. Vede persone guardare con “occhi lucidi” e “inspiegabile ammirazione” le manovre militari. E lo dice senza mezzi termini: “Auf der Ostsee wird das Töten geübt”. Sul Mar Baltico si addestrano a uccidere.

Per lui, questa fascinazione è il sintomo di una malattia grave: la perdita della memoria. “Forse è perché ci sono sempre meno persone che sanno come la guerra si sente davvero, che odore ha, che sapore ha”. La guerra, depurata dalla sua realtà di sangue, fango e terrore, diventa uno spettacolo, un videogioco, una dimostrazione di potenza tecnologica.

Questa riflessione tocca il nervo scoperto della Germania. Un paese che ha costruito la sua identità post-bellica sul “Nie wieder Krieg” (Mai più guerra) si ritrova oggi a discutere di “Kriegstüchtigkeit” (essere abili/pronti per la guerra). L’editoriale del Nordkurier non offre soluzioni facili. Pone una domanda morale: cosa stiamo diventando? Stiamo preparando i nostri corpi e le nostre cantine, ma stiamo forse perdendo la nostra anima, assuefacendoci a un orrore che i nostri nonni avevano giurato di non dimenticare mai?

germania propaganda bellica

Conclusione: La Germania a un Bivio, tra la Cantina e la Coscienza

La preparazione alla guerra in Germania è, in definitiva, un dramma in tre atti che si svolge simultaneamente. C’è l’atto della sopravvivenza pragmatica, incarnato dai consigli della Protezione Civile: un manuale su come resistere quando il mondo crolla. C’è l’atto della contestazione politica, che vede la minaccia non fuori, ma dentro i palazzi del potere, e lotta per cambiare rotta prima che sia troppo tardi. E infine, c’è l’atto dell’esame di coscienza, che ci chiede se, nel tentativo di salvarci fisicamente, non stiamo sacrificando i valori su cui abbiamo costruito decenni di pace.

Queste tre voci non sono in contraddizione. Sono le risposte diverse e ugualmente umane a una paura fondamentale. Il dibattito che oggi infiamma la Germania è lo specchio di un dilemma che riguarda tutta l’Europa. Ci mostra cosa succede quando una società che ha scommesso tutto sulla pace si ritrova a fissare negli occhi l’abisso della guerra.

La risposta che la Germania darà a queste domande – se sceglierà la via della resilienza armata, della de-escalation diplomatica o di un nuovo umanesimo pacifista – non definirà solo il suo futuro, ma quello di un intero continente che, dopo aver promesso a se stesso “mai più”, si ritrova a sussurrare, con terrore, “e se succedesse di nuovo?”.

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