Wolfgang Streeck – Il ruolo dell’UE e della Germania nel nuovo ordine mondiale

bandiera UE

“L’incorporazione dell’Unione Europea in un “Occidente” riarmato, con un nuovo ruolo nell’ambito della divisione europea della NATO sembra aver momentaneamente protetto l’UE dalle forze centrifughe che minacciavano la sua stabilità, senza eliminarle definitivamente.” scrive il grande intellettuale tedesco Wolfgang Streeck. Il ruolo dell’UE nel nuovo ordine mondiale, secondo Streeck, sarà quello di esssere “una componente civile della NATO in Europa”, di fatto il proseguimento della politica militare della Nato, ma con mezzi civili ed economici. Da Makroskop.eu un articolo molto interessante del grande intellettuale tedesco Wolfgang Streeck.

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Le nuove responsabilità dell’Unione Europea, in risposta alla crisi ucraina e alla sua posizione all’interno della strategia della NATO, non solo non hanno fatto dimenticare i problemi preesistenti, ma li hanno anche amplificati.

La guerra è un evento stocastico per eccellenza nella storia, e una volta scatenata, porta inevitabilmente con sé una serie di sorprese. Tuttavia, sebbene il conflitto in Ucraina sia ancora in corso, ha già posto fine, almeno temporaneamente, all’idea di uno stato sovrano o addirittura imperiale in Europa. Inoltre, sembra aver inflitto un duro colpo al desiderio della Francia di trasformare l’Unione Europea, basata su principi liberali, in un terzo polo di potere globale con autonomia strategica, in grado di competere con una Cina in crescita e gli Stati Uniti in declino.

Nel breve termine, l’invasione russa dell’Ucraina sembra aver dato una risposta alla domanda sull’ordine europeo post-neoliberale, riportando in auge il modello della Guerra Fredda: un’Europa unita guidata dagli Stati Uniti, che funge da punto di forza transatlantico nello scontro con un nemico comune, prima l’Unione Sovietica e ora la Russia. L’incorporazione dell’Unione Europea in un “Occidente” riarmato, con un nuovo ruolo nell’ambito della divisione europea della NATO (spesso denominata establishment militare americano), sembra aver momentaneamente protetto l’UE dalle forze centrifughe che minacciavano la sua stabilità, senza eliminarle definitivamente. Questa restaurazione dell’Occidente ha consolidato il dominio degli Stati Uniti sull’Europa occidentale, compresa l’Unione Europea, mentre neutralizza le tensioni interne all’UE.

In particolare, questa restaurazione dell’Occidente sotto il dominio americano ha ridefinito il rapporto a lungo termine tra la NATO e l’Unione Europea, favorendo una divisione delle responsabilità che enfatizza il ruolo predominante della NATO. Interessante notare come ciò abbia contribuito a colmare la frattura tra l’Europa continentale e il Regno Unito, apertasi in seguito alla Brexit. L’inclusione del Regno Unito nella NATO insieme ai principali Stati membri dell’UE ha rafforzato il ruolo europeo del Regno Unito grazie alla sua “relazione speciale” con gli Stati Uniti.

L’impatto sull’immagine internazionale di paesi come la Francia è stato evidenziato da un accordo siglato nel 2021 tra Stati Uniti, Regno Unito e Australia, noto come l’accordo AUCUS. Questo accordo ha portato all’annullamento da parte dell’Australia di un precedente accordo del 2016 con la Francia riguardante i sottomarini a propulsione diesel, sostituendolo con un impegno a sviluppare congiuntamente sottomarini a propulsione nucleare insieme agli Stati Uniti e al Regno Unito. Questo evento ha messo in luce le limitazioni di un’Unione Europea guidata dalla Francia come potenza globale.

 Wolfgang Streeck

L’emergere della NATO come forza dominante nell’Europa occidentale ha comportato una posizione subordinata per l’Unione Europea, che viene ora vista come un’organizzazione complementare alla NATO, allineata agli obiettivi strategici degli Stati Uniti, soprattutto in Europa. Per un certo periodo, a partire dagli anni ’90, gli Stati Uniti hanno considerato l’UE come una sorta di preparazione o “campo d’addestramento” per futuri membri della NATO, specialmente quelli confinanti con la Russia, come la Georgia e l’Ucraina, oltre agli Stati dei Balcani occidentali.

Dall’altra parte, l’UE ha mantenuto le proprie procedure di ammissione, con negoziati prolungati sulle condizioni istituzionali ed economiche nazionali da soddisfare come prerequisito per l’adesione formale. Questo processo include la gestione del bilancio dell’UE e la formazione delle élite politiche dei paesi candidati, garantendo un’approccio “europeista” sufficiente ad evitare conflitti con un’amministrazione tecno-meritocratica centralizzata nell’Europa occidentale. Questo approccio è stato a lungo considerato eccessivamente dettagliato dagli Stati Uniti, che avevano obiettivi geostrategici più ampi. In effetti, la Francia in particolare si è sempre opposta a un “allargamento” eccessivamente liberale dell’Unione, temendo che potesse compromettere l'”approfondimento” dell’UE secondo le sue concezioni.

Dagli occhi degli Stati Uniti, l’UE viene vista idealmente come una componente civile della NATO in Europa, con l’incarico di preparare i paesi periferici dell’Europa occidentale all’adesione alla NATO e alla loro integrazione nella struttura militare globale degli Stati Uniti. In un contesto di divisione dei compiti transatlantici, l’UE ha il compito di fornire incentivi economici per l’adesione all’Occidente e di stabilire le basi economiche per l’occidentalizzazione politica e culturale dei nuovi membri, al fine di garantire stabilità sociale nei termini liberal-democratici occidentali.

Con lo scoppio della guerra in Ucraina, la visione dell’UE come trampolino di lancio per futuri membri della NATO è diventata più tangibile. Tuttavia, la guerra potrebbe temporaneamente ostacolare l’adesione dell’Ucraina alla NATO, almeno secondo la posizione attuale degli Stati Uniti, che condizionano l’adesione alla pace tra Ucraina e Russia, presupponendo una vittoria militare della Russia secondo le condizioni stabilite da Ucraina e Stati Uniti. In compenso, l’adesione all’Unione Europea potrebbe essere offerta rapidamente, garantendo fondi per la ricostruzione post-bellica, una necessità che gli Stati Uniti potrebbero raccogliere, ma che sembrano riluttanti a sostenere direttamente.

È probabile che la Francia non possa più impedire a lungo l’adesione all’Unione Europea di paesi come l’Albania, la Bosnia-Erzegovina, la Macedonia del Nord, il Kosovo e la Serbia. A seconda dello sviluppo della guerra, anche Georgia e Armenia potrebbero ottenere un’affiliazione simile a quella di un paese membro, sebbene ciò comporterebbe significativi impatti finanziari a lungo termine per il bilancio dell’UE.

In aggiunta all’offerta di una prospettiva di adesione per i paesi della periferia dell’Europa occidentale di interesse strategico per gli Stati Uniti, durante il conflitto, l’UE ha assunto il ruolo di pianificazione, coordinamento e monitoraggio delle sanzioni economiche europee contro la Russia, e sempre più spesso, contro la Cina. Le sanzioni rappresentano una profonda trasformazione delle catene di approvvigionamento caratteristiche dell’era del neoliberismo globale e del Nuovo Ordine Mondiale. Questo adattamento è necessario in un mondo multipolare emergente che pone l’accento sulla sicurezza economica e l’autonomia politica. In questo contesto, l’UE, precedentemente vista come promotrice della globalizzazione, sta diventando un’agenzia di de-globalizzazione, una trasformazione che fino a poco tempo fa sembrava improbabile.

La semplificazione delle catene di approvvigionamento è più una questione di competenza tecnocratica che di politica, ed è un compito arduo data l’alta interdipendenza economica che persiste dall’epoca del neoliberismo globale. La decisione politica su quali sanzioni imporre e dove mantenere relazioni produttive e commerciali internazionali sicure è prerogativa dei governi nazionali. Nel contesto europeo attuale, questa decisione è strettamente sorvegliata dall’organizzazione internazionale più influente, la NATO, che è chiaramente dominata dagli Stati Uniti, il suo membro più potente.

Nonostante una possibile rinascita della politica industriale promossa dagli Stati Uniti durante il processo di de-globalizzazione, è improbabile che ciò giovi all’UE e al suo obiettivo di un governo unitario europeo centralizzato sul mercato politico. L’UE, così come la NATO, sembra mancare delle competenze economiche necessarie per valutare l’impatto delle sanzioni sulla Russia e sull’Europa occidentale in modo adeguato. Inoltre, è alquanto improbabile che gli Stati membri dell’UE permettano all’UE di gestire l’adeguamento delle economie nazionali alle nuove condizioni dei mercati deglobalizzati in un’economia mondiale ripoliticizzata.

È importante notare che gli Stati Uniti e la NATO assegneranno all’UE un ruolo centrale nel finanziamento pubblico per la ricostruzione dell’Ucraina dopo la guerra, così come nel fornire supporto finanziario ai paesi periferici dell’Europa occidentale che aspirano ad aderire all’UE e, potenzialmente, alla NATO. La capacità dell’UE di emettere debito pubblico in modo meno evidente rispetto al debito nazionale, come dimostrato dal Corona Recovery and Resilience Fund (CRRF) e dal Next Generation EU (NGEU), verrà utilizzata in modo costante e su ampia scala per raccogliere fondi europei necessari a coprire i costi non militari di lungo termine del conflitto. Inoltre, l’esperienza passata suggerisce che il contributo americano si limiterà alle operazioni militari e richiederà il coinvolgimento della BCE sotto forma di finanziamenti pubblici indiretti come ad esempio l’acquisto di debito pubblico dagli investitori privati, aggirando i trattati europei.

Le nuove responsabilità assegnate all’Unione Europea a seguito della crisi ucraina e della sua sottomissione alla strategia della NATO stanno sollevando una serie di sfide, anziché risolvere i problemi preesistenti. Nel contesto occidentale dell’UE, il Regno Unito ha riacquisito rilevanza grazie alla sua stretta alleanza con gli Stati Uniti all’interno della NATO, anche se ora opera come subcomandante anziché come membro a pieno titolo.

Allo stesso tempo, nel sud dell’UE, non si prevede che il nuovo ruolo di leadership europea all’interno della NATO possa migliorare la situazione economica dell’Italia; anzi, le sanzioni e la riduzione delle catene di approvvigionamento imporranno costi aggiuntivi alle economie mediterranee e a tutte le altre. È probabile che si cercheranno dei risarcimenti da parte dell’UE, anche se non dai già reticenti Stati Uniti.

Tuttavia, gli Stati membri dell’UE più ricchi saranno chiamati ad aumentare le spese per la difesa a dei livelli sempre più elevati secondo le richieste della NATO, nonostante la possibile opposizione dei loro cittadini. Dovranno inoltre finanziare l’adesione di altri Stati membri dell’UE che aspirano a entrare nella NATO. La competizione per i finanziamenti dell’UE crescerà a causa delle nuove esigenze dei membri orientali, come l’accoglienza dei rifugiati ucraini e l’importazione di prodotti agricoli ucraini. I piani di riduzione del sostegno finanziario a paesi come la Polonia o l’Ungheria in relazione a questioni legate allo “Stato di diritto” diventeranno meno rilevanti, poiché i conflitti culturali tra democrazie “illiberali” e “liberali” saranno messi da parte in favore degli obiettivi geostrategici della NATO e degli Stati Uniti.

Mentre i costi per la “coesione” sostenuti dai paesi ricchi del Nord-Ovest, come definita a Bruxelles, aumenteranno, ciò non comporterà necessariamente una riduzione del divario economico tra l’Europa settentrionale e quella meridionale. Allo stesso tempo, si sta verificando uno spostamento del potere politico all’interno dell’UE in favore dei paesi dell’Europa orientale. Le misure di rieducazione culturale dell’Occidente sembrano avere meno rilevanza quando milioni di rifugiati arrivano, ad esempio, in Polonia. Gli Stati Uniti, infatti, potrebbero avere meno motivi per esercitare pressioni sui loro alleati dell’Europa orientale affinché questi si confirmino alle sensibilità liberali tedesche o olandesi. Gli sforzi dei Verdi tedeschi per condizionare il supporto economico ai paesi post-comunisti alla loro adesione ai “valori democratici” potrebbero non ottenere risultati significativi fintanto che gli Stati Uniti si accontenteranno dell’adesione alla NATO e del sostegno a iniziative pro-occidentali.

Poiché gli Stati Uniti si preparano a una lunga guerra, con l’obiettivo di un cambio di regime in Russia o almeno un indebolimento duraturo del paese, la disponibilità dei paesi ad accogliere truppe, aerei e missili americani avrà priorità rispetto alle condizioni di democrazia. L’UE, che per un periodo indefinito agirà come una sorta di servizio di assistenza paramilitare sovranazionale, consentirà ai paesi dell’Europa orientale di dettare ampiamente l’agenda della politica estera comune. Gli Stati Uniti, insieme ai loro alleati dell’Europa orientale e con la mediazione della NATO, potrebbero sostituire in pratica il cosiddetto “tandem” franco-tedesco, che aspirava ad essere egemone nell’Unione.

Nel corso del tempo, indipendentemente dalla durata della guerra, un’Unione Europea subordinata alla NATO dipenderà dalla politica interna di una grande potenza in declino, gli Stati Uniti, che si prepara a confrontarsi con una grande potenza emergente, la Cina. In nessuna parte dell’Europa occidentale sembra esserci una seria preparazione all’eventualità che Trump possa essere rieletto nel 2024, una prospettiva che non può essere completamente esclusa, o che un successore di Trump possa prendere il suo posto.

Anche con un presidente come Biden o con un repubblicano moderato, la politica estera americana resta caratterizzata da una breve capacità di attenzione, il cui passato viene spesso dimenticato in Europa, rappresentando una costante fonte di incertezza. Esempi come l’Iraq, la Libia, la Siria e l’Afghanistan dimostrano la tendenza degli Stati Uniti a ritirarsi quando la costruzione di una nazione fallisce, lasciando ad altri il compito di gestire situazioni complesse e pericolose, soprattutto se questi sono interessati a preservare un minimo di ordine internazionale alle loro porte.

Oltre l’Imperialismo

L’Unione Europea ha attraversato diverse fasi evolutive, da un’iniziale cooperazione economica tra sei Stati nazionali confinanti, che potremmo definire “pianificazione regionale” secondo Polanyi, fino alla tecnocrazia post-democratica e alla mercatocrazia dell’era neoliberale. Negli ultimi anni del Nuovo Ordine Mondiale, con 28 membri, ha raggiunto uno stallo istituzionale, con una lotta tra forze che cercavano una maggiore centralizzazione e altre che volevano un maggiore decentramento. Questo impasse ha portato a una graduale dissoluzione, sia funzionale che formale.

Questo stallo è in parte dovuto al fatto che l’integrazione europea ha coinvolto aree della vita economica, politica e culturale nazionale che gli Stati membri erano riluttanti o incapaci di cedere al livello sovranazionale. Inoltre, le diverse condizioni nazionali hanno prodotto risultati diversi a seguito dell’integrazione, portando a interessi nazionali contrastanti. La continua espansione territoriale dell’UE ha amplificato questa diversità interna, mettendo a dura prova la capacità di governo centrale dell’Unione.

I modelli di integrazione che avrebbero dovuto stabilizzare l’UE attraverso una maggiore decentrazione, invece che una maggiore centralizzazione, non hanno mai avuto una vera possibilità di essere accolti o ascoltati. La complessità dei trattati esistenti, i requisiti tecnici della moneta unica e la mancanza di fiducia degli Stati membri nel proprio auto-governo hanno ostacolato questi sforzi.

Inoltre, il sistema multilivello dell’UE ha dato alle élite politiche nazionali la possibilità di scaricare i problemi che non possono o non vogliono affrontare, come la regolamentazione dell’immigrazione indesiderata. Da non sottovalutare è anche il ruolo del concetto morale di “Europa” per una nuova classe media post-materialista, oltre agli interessi imperiali contrastanti dei due principali paesi dell’UE, Germania e Francia.

In questa situazione, la gestione della pandemia di Covid-19 ha visto l’Unione Europea delegare sostanzialmente la responsabilità ai suoi Stati membri. Tuttavia, la guerra in Ucraina ha introdotto una nuova forma di centralizzazione geostrategica nel sistema di Stati dell’Europa occidentale, guidata dagli Stati Uniti attraverso la NATO, un’organizzazione internazionale transatlantica il cui scopo principale è la “continuazione della politica con altri mezzi”, come affermato da Carl von Clausewitz.

La domanda che sorge è se gli Stati Uniti saranno in grado di mantenere unita un’Unione Europea che, molto probabilmente, si espanderà ulteriormente sotto questa centralizzazione, concentrata su un obiettivo comune, ovvero la vittoria su un nemico comune. Questo processo potrebbe superare o mascherare le vecchie e nuove linee di conflitto interne all’UE, temporaneamente disciplinando le molteplici volontà nazionali sotto l’egida di un egemone esterno forte.

Anche se la guerra in Ucraina dovesse alla fine concludersi o essere “congelata”, gli Stati Uniti potrebbero comunque avere bisogno di un’Europa unita, specialmente se la loro attenzione si sposterà verso il Pacifico. D’altra parte, se la minaccia russa sarà contenuta in qualche modo, la Cina potrebbe non sembrare abbastanza minacciosa agli europei da giustificare una continua dipendenza dagli Stati Uniti.

Questo potrebbe portare al riemergere delle vecchie divisioni tra Paesi europei come Germania, Francia, Italia e Polonia, differenze che naturalmente ostacolano un’integrazione sovranazionale promossa dall’interno. Nonostante l’assistenza americana e l’impressione immediata delle “sfide del momento”, l’UE ha dimostrato di non essere in grado di coordinare efficacemente le sanzioni economiche contro la Russia né di europeizzare seriamente le industrie nazionali europee della difesa.

È probabile che gli Stati Uniti cercheranno di minimizzare le differenze ideologiche e culturali tra gli Stati dell’Europa occidentale e quelli dell’Europa orientale per favorire la coesione europea sotto la guida americana sulla scena internazionale. Tuttavia, gli obiettivi degli Stati Uniti potrebbero non coincidere con quelli di Paesi come Francia o Germania. Se l’interesse americano per la guerra in Europa diminuisse, gli Stati membri dell’UE potrebbero diventare sempre meno inclini a seguire le direttive di Bruxelles o Berlino in nome degli Stati Uniti e potrebbero prendere decisioni autonome riguardo alle loro relazioni economiche e al loro posizionamento in un mondo multipolare emergente.

Una volta che la guerra con la Russia si sarà risolta in un modo o nell’altro e gli Stati Uniti si saranno rivolti a nuovi teatri di conflitto, potrebbe diventare evidente che l’integrazione europea ha dei limiti che non possono essere significativamente superati nel lungo periodo senza una leadership esterna.

L’idea di un superstato europeo, sebbene possa avere un certo fascino, soprattutto in Germania, è probabilmente irrealizzabile nel lungo periodo. La diversità nazionale radicata in Europa rende difficile l’istituzione di un’autorità sovranazionale centralizzata e gerarchica. Anche l’Europa guidata dagli Stati Uniti nella gestione della guerra in Ucraina ne risente. Per stabilire un ordine imperiale stabile guidato dagli Stati Uniti a ovest del confine russo, sarebbe necessario sopprimere efficacemente la forte identità nazionale che ha sempre caratterizzato l’Europa, sia tra le élite politiche neoliberali che tra i cittadini.

La prospettiva di una leadership regionale, con gli Stati Uniti o persino la Germania come possibili egemoni, è altamente incerta. Pertanto, la conclusione è che se l’Europa vuole essere rilevante in un mondo multipolare futuro, deve imparare a organizzarsi non come uno stato unitario o un impero interstatale, ma piuttosto come un’associazione cooperativa di stati nazionali indipendenti. Questi stati dovrebbero avere la flessibilità di rappresentare i propri interessi sia individualmente che in alleanza con altri, creando un’Europa con una “geometria variabile” o una struttura di Paesi “madre” che si uniscono a un’alleanza globale di nazioni non allineate.

L’obiettivo sarebbe quello di staccarsi dal dominio degli Stati Uniti e unirsi a un’alleanza globale di Paesi non allineati, nella speranza che anche gli Stati Uniti possano alla fine essere disposti a partecipare pacificamente a una simile alleanza come uno tra molti Paesi. Questo approccio potrebbe consentire all’Europa di mantenere la sua identità nazionale e la sua autonomia, pur collaborando con altri Paesi per affrontare le sfide globali in modo più equilibrato.

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