Hai mai avuto quella sensazione? Sei alla cassa del supermercato e hai dimenticato la tua borsa di tela. Provi un piccolo, fastidioso, senso di colpa. O magari sei tu quello che, con pazienza certosina, separa ogni singolo tappo di plastica, pulisce il vasetto dello yogurt e spiega agli amici perché comprare l’acqua in bottiglia è un piccolo crimine contro il pianeta.
Ci proviamo. Davvero. Sentiamo l’urgenza, vediamo le immagini degli incendi e delle alluvioni, e un pezzo di noi vuole disperatamente credere che le nostre scelte quotidiane, sommate a quelle di milioni di altri, possano davvero fare la differenza. È una narrazione potente, quasi religiosa: il piccolo gesto che salva il mondo.
E se ti dicessi che questa narrazione, per quanto nobile e benintenzionata, è un’illusione? Un grandioso, tragico inganno che ci distrae dal vero cuore del problema?
Non è un’opinione da bar, ma la tesi lucida e brutale di uno degli economisti tedeschi più controversi e acuti, Heiner Flassbeck. In una recente analisi, Flassbeck non si limita a criticare una politica o un’altra; demolisce l’intero edificio su cui si basa la nostra attuale lotta al cambiamento climatico. E lo fa con la fredda logica dei numeri e dei meccanismi di mercato, svelandoci una verità tanto scomoda quanto illuminante. Preparati, perché dopo aver letto, potresti non guardare più il tuo vasetto di yogurt con gli stessi occhi.

La Coscienza a Posto: Perché le Nostre Azioni Individuali Sono un’Illusione Tragica
Immaginiamo Marco. Marco è l’cittadino modello. Ha installato i pannelli solari, va al lavoro in bicicletta, ha ridotto drasticamente il consumo di carne e la sua auto, un’elettrica usata, è il suo orgoglio. Marco sente di fare la sua parte. E in un mondo ideale, avrebbe ragione.
Ma non viviamo in un mondo ideale. Viviamo in un mercato globale. Come spiega Flassbeck, il problema non è la nostra moralità, ma la spietata logica della domanda e dell’offerta su scala planetaria.
Quando Marco decide di non fare il pieno di benzina, cosa succede davvero? Non è che quel petrolio rimane sottoterra. Semplicemente, la domanda in Italia (o in Europa) cala di una goccia infinitesimale. Questa micro-riduzione della domanda, sommata a quella di altri milioni di “Marco”, esercita una leggerissima pressione al ribasso sul prezzo globale del petrolio. Quel greggio, ora marginalmente più economico, diventa più attraente per un’economia emergente in Asia o in Africa, dove la priorità non è l’auto elettrica, ma l’energia a basso costo per alimentare fabbriche e dare luce alle case.
Il nostro sforzo individuale, in un mercato globale, viene semplicemente neutralizzato da qualcun altro che approfitta del prezzo più basso. È un gioco a somma zero. Possiamo rassicurare la nostra coscienza, sentirci virtuosi, ma la quantità totale di combustibili fossili bruciata nel mondo non cambia. È una doccia fredda, lo so. Sui social leggiamo continuamente appelli a “fare la nostra parte”, la stampa ci loda come eroi del quotidiano, ma la realtà economica è un’altra. Stiamo cercando di svuotare l’oceano con un cucchiaino, mentre nessuno si preoccupa della falla nella diga.

L’Accordo di Parigi è Morto? I Dati sul Fallimento della Politica Climatica
“Ma c’è l’Accordo di Parigi!”, potrebbe obiettare qualcuno. Quel momento storico del 2015, quando il mondo intero si è unito, grandi e piccoli, promettendo di salvare il pianeta. Un trionfo della diplomazia, un faro di speranza.
Flassbeck, con la spietatezza di un chirurgo, incide questo tessuto di speranze e mostra la realtà dei fatti. Dal 2015, con la sola eccezione dell’anomalia del 2020 dovuta alla pandemia, le emissioni globali di CO2 non hanno fatto altro che aumentare. Anno dopo anno.
Questo non è un insuccesso parziale. È un fallimento totale rispetto all’obiettivo dichiarato. L’obiettivo di Parigi non era “inquinare un po’ meno rispetto a quanto cresce il PIL”, ma ottenere una riduzione assoluta e costante delle emissioni. Se le emissioni salgono, significa che l’accordo è, nei fatti, lettera morta. Non ha innescato quel processo globale vincolante capace di forzare un cambiamento di rotta.
Il problema, secondo la sua analisi, non è la mancanza di volontà dei singoli paesi come l’Italia o la Germania. Il problema è che l’intero approccio è sbagliato alla radice. Stiamo cercando di curare i sintomi – i nostri consumi – ignorando la malattia: una produzione di energie fossili fuori controllo.

Non è la Domanda, è l’Offerta: La Verità che Nessuno Vuole Sentire
E qui arriviamo al cuore del ragionamento di Flassbeck, il punto che ribalta completamente il tavolo. Per decenni, politici, attivisti e media ci hanno detto che il problema siamo noi, i consumatori. Se solo chiedessimo meno petrolio, meno gas, meno carbone, i produttori ne estrarrebbero di meno.
È una logica che suona bene, ma che non ha alcun riscontro nella realtà del mercato energetico.
Immagina il mercato dei combustibili fossili come una vasca da bagno. La politica attuale si concentra sul cercare di togliere acqua dalla vasca con dei secchielli (ridurre la domanda). Ma c’è un dettaglio che tutti ignorano: il rubinetto è completamente aperto e nessuno ha intenzione di chiuderlo.
Quel “rubinetto” è rappresentato da circa 25 paesi produttori di energie fossili. Nazioni come l’Arabia Saudita, la Russia, gli Emirati Arabi, e persino gli Stati Uniti, che sono contemporaneamente grandi produttori e consumatori. Per questi paesi, estrarre petrolio e gas non è solo un business: è la base dei loro bilanci statali, del loro potere geopolitico, della loro stabilità interna.
I costi di estrazione del petrolio convenzionale, ad esempio, sono ridicolmente bassi rispetto al prezzo di vendita. Anche se il prezzo del barile scende, per loro è comunque enormemente profittevole continuare a pompare. Anzi, a volte se il prezzo scende sono incentivati a produrre di più per mantenere costanti i loro introiti. Negli ultimi mesi, l’OPEC ha persino deciso di aumentare la produzione.
Finché questi paesi estraggono, il mercato globale farà in modo che quella risorsa venga venduta e, infine, bruciata. Non è la domanda a guidare l’offerta. In questo mercato malato, è l’offerta quasi illimitata a creare la propria domanda.

Chiudere il Rubinetto: L’Unica, Radicale Soluzione per Risolvere la Crisi
Se curare i sintomi non funziona, bisogna aggredire la malattia. E se la malattia è un’offerta senza freni, l’unica cura possibile è una sola, tanto semplice da enunciare quanto complessa da realizzare: bisogna costringere i produttori a ridurre l’estrazione.
Questa è la proposta centrale, l’insight rivoluzionario di Flassbeck. L’unica politica climatica che può funzionare non è tassare i consumatori, non è dare bonus per le auto elettriche, non è nemmeno il pur sofisticato sistema di scambio di emissioni europeo (ETS). È un accordo globale, ferreo e vincolante, tra le nazioni del mondo per imporre ai paesi produttori una riduzione progressiva, costante e prevedibile della quantità di petrolio, gas e carbone estratti dal sottosuolo.
Cosa succederebbe? Succederebbe l’unica cosa che può davvero innescare una transizione globale: il prezzo reale delle energie fossili comincerebbe a salire in modo costante e inarrestabile, anno dopo anno, per decenni.
Un segnale di prezzo del genere, chiaro e globale, renderebbe le energie rinnovabili non solo un’alternativa etica, ma l’unica scelta economicamente razionale per tutti. Per le aziende, per i governi, per le famiglie. La transizione energetica non sarebbe più un’opzione da incentivare, ma una necessità economica ineludibile. Le scelte di Marco, il nostro cittadino modello, non sarebbero più solo gesti simbolici, ma diventerebbero la norma, dettate dalla convenienza.

Tra Realpolitik e Speranza: Perché Questa Soluzione è Tanto Efficace Quanto Improbabile
A questo punto, la domanda sorge spontanea: se la soluzione è così chiara, perché nessuno ne parla? Perché continuiamo a concentrarci su misure frammentarie e inefficaci?
La risposta è semplice e deprimente: perché chiudere il rubinetto è politicamente un incubo. Significherebbe andare a intaccare gli interessi economici e geopolitici più potenti del pianeta. Alla conferenza sul clima COP28 del 2023, si è timidamente provato a inserire nel documento finale una frase sull’uscita dalle fonti fossili. Il risultato è stato un annacquamento totale, una vittoria schiacciante della lobby dei produttori. Un nulla di fatto spacciato per successo diplomatico.
Coordinare una riduzione dell’offerta richiederebbe trattative di una complessità inaudita e un sistema di controlli globale per assicurarsi che nessuno bari. È un’impresa titanica. Ed è per questo che i nostri leader politici preferiscono la via più facile: scaricare la responsabilità su di noi, i cittadini. È molto più semplice dirti di usare una borraccia che andare a negoziare con l’Arabia Saudita una riduzione della sua produzione di petrolio.
Quindi, siamo condannati? Forse. Friedrich Merz, il politico tedesco citato da Flassbeck, diceva che la Germania è “troppo piccola per salvare il mondo”. Aveva ragione nella conclusione, ma torto nella motivazione. Il problema non è che siamo troppo piccoli. Il problema è che la comunità globale è incapace di concepire e attuare una politica climatica razionale.
Cosa ci resta? La consapevolezza. La prossima volta che sentirai un politico parlare di “responsabilità individuale” o magnificare i piccoli gesti, saprai che sta evitando di parlare del vero problema. Il nostro compito, come cittadini informati, non è più solo quello di separare i rifiuti con diligenza. È quello di cambiare la conversazione.
Dobbiamo pretendere che il dibattito si sposti dal nostro carrello della spesa alle stanze del potere dove si decide quanta energia fossile estrarre. Dobbiamo chiedere perché nessuno parla di restrizioni globali all’offerta. È una battaglia di narrazioni, e anche se la verità di Flassbeck è scomoda, è l’unica arma che abbiamo per smascherare il grande fallimento della politica climatica e, forse, iniziare a immaginare un futuro che funzioni davvero.