rapporti francia germania

Il brusio nei bistrot parigini è cambiato. Sotto il tintinnio dei bicchieri e il profumo del caffè, si annida un’inquietudine palpabile, una stanchezza che attraversa generazioni. Nelle piazze, le proteste non sono più l’eccezione, ma un rituale ciclico, un sintomo febbrile di un malessere profondo. La Francia sembra intrappolata in un eterno stato di crisi, un dramma politico e sociale che si ripete con attori diversi ma con un copione stranamente familiare. Si punta il dito contro un presidente, si accusa un governo, si lamenta una riforma impopolare. Ma se stessimo tutti guardando il dito invece della luna? E se la vera radice di questa febbre persistente non fosse da cercare lungo la Senna, ma sulle rive della Sprea, a Berlino?

Questa non è una teoria del complotto, ma un invito a spostare la telecamera, ad allargare l’inquadratura per osservare una dinamica europea tanto potente quanto invisibile, una logica economica che, secondo un’acuta analisi dell’economista tedesco Heiner Flassbeck apparsa sulla stampa tedesca, ha trasformato l’Europa in un campo da gioco inclinato. Un gioco in cui le regole, non scritte ma ferree, avvantaggiano sistematicamente un giocatore, costringendo gli altri a indebitarsi per restare in partita. Benvenuti nel cuore della crisi francese, un epicentro che trema a causa di scosse sismiche generate a centinaia di chilometri di distanza.

heiner flassbeck
Heiner Flassbeck

Il Palcoscenico Parigino: Un’Instabilità Diventata Norma

Prima di guardare altrove, è giusto osservare la scena del crimine. La Francia oggi appare come un laboratorio di ingovernabilità. Governi che cadono, voti di sfiducia che rivelano parlamenti frammentati, e un presidente che, pur detenendo un potere formale immenso, sembra navigare a vista in un mare in tempesta. La frustrazione sociale è benzina sul fuoco. Dalle proteste dei Gilets Jaunes contro il caro vita alle mobilitazioni contro le riforme delle pensioni, il messaggio della piazza è chiaro: il patto sociale è rotto.

La percezione diffusa è quella di un Paese che vive al di sopra delle proprie possibilità, un vizio nazionale incarnato da un debito pubblico che sembra inarrestabile. I commentatori, soprattutto quelli del nord Europa, scuotono la testa con aria di sufficienza, parlando di una “cultura del deficit”, di una nazione incapace di fare i “compiti a casa”. La diagnosi sembra semplice: la Francia spende troppo e deve imparare la virtù del risparmio. Ma è davvero così? Oppure stiamo descrivendo i sintomi senza capire la malattia? Il debito pubblico francese, in quest’ottica, non è la causa della malattia, ma un sintomo febbrile, la reazione di un corpo economico costretto a funzionare in un ambiente squilibrato.

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L’Antagonista Silenzioso: Come il Modello Tedesco ha Riscritto le Regole

Per capire la crisi francese, dobbiamo parlare del successo tedesco. Non per criticarlo, ma per comprenderne le conseguenze involontarie. Dagli anni Duemila, la Germania ha costruito un modello economico formidabile, trasformandosi nella più grande macchina da esportazione del mondo. Lo ha fatto attraverso una strategia precisa: una fortissima moderazione salariale. Mentre i salari nel resto d’Europa crescevano, quelli tedeschi sono rimasti stagnanti per anni. Questo ha reso le merci tedesche – dalle automobili di lusso ai macchinari industriali – incredibilmente competitive.

Saldi di Finanziamento Settoriali in Germania

Evoluzione dal 1991 al 2023 (% del PIL)

Famiglie Private
Imprese
Stato
Estero

Interpretazione del Grafico:

Valori positivi: Il settore è creditore netto (risparmia più di quanto investe)

Valori negativi: Il settore è debitore netto (investe più di quanto risparmia)

Famiglie: Tradizionalmente risparmiatrici, con un picco dopo la crisi finanziaria del 2008

Imprese: Alternate fasi di investimento e risparmio, con una svolta verso il risparmio netto dopo il 2000

Stato: Deficit significativi durante le crisi, equilibrio negli anni di crescita

Estero: I valori negativi indicano il surplus commerciale tedesco (la Germania esporta più di quanto importa)

Fonte: Banca Dati Ameco, Stato: Novembre 2023; Valori 2023: Bundesbank Tedesca

Il risultato? Un surplus commerciale colossale. In parole semplici, la Germania vende al mondo molto, molto più di quanto compra. Ogni anno, centinaia di miliardi di euro entrano nel sistema economico tedesco e non ne escono. Questo crea un problema fondamentale di logica economica. Se un Paese accumula risparmi in modo così massiccio, per la legge dei vasi comunicanti, qualcun altro, da qualche altra parte, deve indebitarsi. Non è un’opinione politica, è matematica contabile. Se nessuno si indebita per comprare quei prodotti, la macchina tedesca si ferma e l’economia globale va in recessione.

Per anni, questo “qualcun altro” sono stati gli Stati Uniti, la Spagna, la Grecia. E, naturalmente, la Francia. Partner commerciale fondamentale, la Francia si è trovata a comprare beni tedeschi per decine di miliardi in più di quanti ne riuscisse a vendere alla Germania. Questo squilibrio commerciale agisce come un lento prosciugamento di risorse e posti di lavoro dal sistema francese verso quello tedesco.

prossima crisi euro

La Favola Sbagliata: La Cicala Francese e la Formica Tedesca

Ci hanno sempre raccontato la favola della cicala e della formica. La formica (Germania) lavora sodo e risparmia per l’inverno, mentre la cicala (Francia, Italia, i Paesi del Sud) canta tutta l’estate e poi si ritrova senza scorte. È una narrazione potente e moralmente rassicurante. Ma, come sottolinea l’analisi di Flassbeck, è una favola che descrive la realtà in modo distorto.

Immaginiamo una versione più realistica. La formica non si limita a risparmiare: diventa così ossessionata dall’accumulo che smette di comprare qualsiasi cosa, persino il cibo prodotto dai suoi vicini. Non solo: le sue tecniche di raccolta sono così efficienti che svuota le riserve di tutto il bosco. La cicala, a questo punto, non ha scelta: per non morire di fame, deve chiedere un prestito alla formica per comprare le sue stesse provviste. La formica acconsente, ma la rimprovera per la sua “cattiva gestione finanziaria” e le impone regole di austerità sempre più severe.

Saldi di Finanziamento Settoriali in Francia

Evoluzione dal 1991 al 2023 (% del PIL)

Confronto Francia vs Germania: La Francia mostra un pattern diverso con deficit pubblici più persistenti e un surplus estero più limitato rispetto alla Germania.
Famiglie Private
Imprese
Stato
Estero

Interpretazione del Grafico Francia:

Famiglie Private: Costantemente in surplus, ma con oscillazioni più marcate rispetto alla Germania

Imprese: Maggiore volatilità, con deficit significativi durante le crisi e surplus limitati

Stato: Deficit strutturali più persistenti, particolarmente evidenti dopo la crisi del 2008

Estero: Surplus commerciale molto più limitato rispetto alla Germania, con periodi di deficit

Differenze chiave: La Francia ha una propensione al consumo più alta e una competitività esterna inferiore rispetto alla Germania

Nota: I valori positivi dell’estero indicano un indebitamento della Francia verso l’estero.
Fonte: Banca Dati Ameco, Stato: Novembre 2023; Valori 2023: Stime Commissione UE e Insee

Questo è ciò che accade in Europa. Non solo le famiglie tedesche risparmiano. Anche le imprese tedesche, invece di investire e indebitarsi (come vorrebbe la teoria economica classica), sono diventate risparmiatrici nette. E, ciliegina sulla torta, lo Stato tedesco ha inserito in Costituzione il “freno al debito” (Schuldenbremse), impegnandosi a sua volta a risparmiare. Quando tutti i settori interni di un Paese risparmiano contemporaneamente, l’unica via di salvezza è che il resto del mondo si indebiti con te. Il modello tedesco non è solo un modello di successo, è un modello che richiede l’indebitamento dei suoi partner commerciali per poter funzionare.

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La Medicina che Avvelena: Perché l’Austerità in Francia Non Può Funzionare

Ed è qui che il dramma raggiunge il suo apice. La diagnosi che arriva da Berlino, da Bruxelles e dal mainstream economico è sempre la stessa: la Francia deve tagliare la spesa pubblica, ridurre il deficit, diventare più “virtuosa”. In sostanza, deve diventare come la Germania. Ma cosa succederebbe se lo facesse davvero?

Se lo Stato francese avviasse un massiccio programma di austerità, tagliando stipendi, servizi e investimenti, la domanda interna crollerebbe. Le persone avrebbero meno soldi in tasca e spenderebbero di meno. Le aziende, vedendo calare gli ordini, smetterebbero di investire e inizierebbero a licenziare. La disoccupazione aumenterebbe, le entrate fiscali crollerebbero e la spesa per i sussidi sociali esploderebbe. Il risultato non sarebbe un risanamento dei conti, ma una devastante recessione che, paradossalmente, peggiorerebbe il rapporto debito/PIL.

Lo Stato francese, in questa architettura europea, si trova in una trappola. È costretto a indebitarsi per compensare sia lo squilibrio commerciale con la Germania sia la tendenza al risparmio del proprio settore privato. Il suo deficit non è una scelta scellerata, ma una conseguenza quasi inevitabile di un sistema che non funziona. Chiedergli di attuare l’austerità senza cambiare le regole del gioco è come chiedere a un uomo che sta annegando di respirare più lentamente.

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Una Ribellione Intellettuale: La Vera Via d’Uscita per Parigi e per l’Europa

La vera crisi francese, quindi, non è solo politica o sociale. È una crisi intellettuale. È la crisi di un’élite che ha accettato una narrazione economica che danneggia il proprio Paese. La via d’uscita, suggerisce il pensiero critico di economisti come Flassbeck, non è una nuova riforma o un nuovo presidente. È una ribellione contro il dogma dominante.

La Francia dovrebbe smettere di giustificarsi e iniziare a porre le domande giuste. Dovrebbe sfidare apertamente la logica del mercantilismo tedesco e chiedere: è sostenibile un’unione monetaria dove un Paese accumula surplus permanenti a scapito degli altri? È giusto imporre regole fiscali identiche a Paesi con strutture economiche e problemi diametralmente opposti? Invece di promettere tagli e sacrifici, un leader francese coraggioso dovrebbe proporre un nuovo patto per l’Europa, basato sulla cooperazione e non sulla competizione al ribasso. Un patto dove chi ha un surplus eccessivo ha il dovere di stimolare la propria domanda interna – aumentando i salari e gli investimenti pubblici – tanto quanto chi ha un deficit ha il dovere di essere responsabile.

Conclusioni: La Crisi Francese è uno Specchio per Tutti Noi

La febbre che scuote la Francia non è un problema isolato. È il canarino nella miniera dell’Europa. Ci avverte che le fondamenta della nostra casa comune sono instabili. L’ingovernabilità, la rabbia sociale e l’ascesa degli estremismi che vediamo a Parigi sono le conseguenze dirette di un modello economico che genera vincitori e vinti per disegno strutturale.

Continuare a incolpare la “cicala” francese è un esercizio comodo ma futile, che ci impedisce di affrontare il vero problema. La vera domanda, oggi, non è se la Francia riuscirà a salvarsi. La vera domanda è se l’Europa troverà il coraggio di salvare se stessa, riscrivendo le proprie regole prima che la febbre diventi cronica e incurabile.

Cosa ne pensi? Stiamo davvero leggendo la crisi europea nel modo giusto? E quale potrebbe essere il primo passo per costruire un’economia continentale che non costringa metà dei suoi membri a un indebitamento perpetuo? La discussione è aperta, ed è forse la più importante del nostro tempo.