Un’onda d’urto sta scuotendo le fondamenta del modello sociale tedesco. Non è un terremoto improvviso, ma un sisma politico annunciato, le cui scosse di assestamento si avvertono in ogni angolo del Paese. Al centro dell’epicentro c’è una parola che in Germania è diventata sinonimo di scontro, promessa e polemica: Bürgergeld. L’equivalente del nostro reddito di cittadinanza, nato dalle ceneri del controverso sistema Hartz IV, è ora nel mirino di una riforma che potrebbe cambiarne per sempre il volto e, con esso, l’anima stessa del welfare tedesco.
La stampa tedesca, dal Tagesspiegel a RUHR24, è un coro di voci discordanti, un campo di battaglia dove si scontrano visioni opposte del futuro. Da una parte, c’è chi grida alla necessità di ripristinare la giustizia per chi lavora; dall’altra, chi difende un baluardo di civiltà contro la povertà. Ma questa non è solo una discussione su cifre e regolamenti. È una domanda profonda che la Germania pone a se stessa e a tutta l’Europa: in una delle economie più ricche del mondo, qual è il patto che lega i cittadini tra loro? È un patto basato sulla responsabilità individuale o sulla solidarietà collettiva? E soprattutto, chi decide quando una persona non merita più l’aiuto della comunità?

“Chi può lavorare, deve lavorare”: la crociata della CDU contro il Bürgergeld
A guidare l’offensiva è Carsten Linnemann, Segretario Generale della CDU e architetto di una proposta che suona tanto semplice quanto brutale. La sua idea, ribadita con forza alla Deutsche Presse-Agentur, è un cambio di paradigma radicale: “Se una persona rifiuta ripetutamente un’offerta di lavoro ragionevole, lo Stato deve presumere che non sia bisognosa. E di conseguenza, non riceverà più alcun Bürgergeld”. Non una riduzione, non una sospensione temporanea. Un taglio totale, definitivo.
Per Linnemann e per una parte consistente del suo partito, il Bürgergeld è diventato una “cifra dell’ingiustizia in Germania”. Il racconto è quello di un sistema che, a loro dire, disincentiva il lavoro e pesa sulle spalle di chi si alza ogni mattina per contribuire alla collettività. I numeri, in effetti, alimentano questa narrazione: la spesa per il sussidio è esplosa, raggiungendo quasi 47 miliardi di euro all’anno per circa 2,9 milioni di famiglie. Un costo enorme che, secondo i critici, non è più sostenibile né giusto.
La visione della CDU è quella di una “Nuova Assicurazione di Base per chi cerca Lavoro”, un sistema dove il principio del Fördern und Fordern (promuovere e pretendere) si sposta decisamente sul secondo termine. La “pretesa” diventa centrale. Si parla di un “obbligo di candidatura” e di sanzioni immediate e severe per i cosiddetti “Totalverweigerer”, i “rifiutanti totali”. L’obiettivo è chiaro: spezzare l’idea che il sussidio possa essere un’alternativa a lungo termine al lavoro per chi è abile a farlo. È un messaggio potente, che fa leva su un sentimento di frustrazione diffuso, quello di chi vede il proprio stipendio eroso dalle tasse e percepisce una distanza sempre minore rispetto a chi vive di aiuti statali.

“Attacchi allo stato sociale”: la SPD alza le barricate
Ma all’interno della stessa grande coalizione che governa il Paese, la resistenza è forte e organizzata. A farsi portavoce del dissenso è Dagmar Schmidt, autorevole esponente della SPD e vicepresidente del gruppo parlamentare. Le sue parole sono un atto d’accusa diretto al partner di governo: “Gli attacchi allo stato sociale diventano ogni giorno più numerosi. Ma non è un fattore di costo da tagliare a seconda delle disponibilità di cassa”.
Per la SPD, la narrazione della CDU è una pericolosa semplificazione che ignora la realtà complessa della povertà. Schmidt accusa Linnemann di “perdita di contatto con la realtà”, ricordando che dietro i numeri ci sono persone in carne e ossa: persone malate, genitori single senza accesso a strutture di assistenza per i figli, lavoratori che hanno perso un impiego precario, o semplicemente individui schiacciati da percorsi di vita difficili. La soluzione, per i socialdemocratici, non è punire i più deboli, ma agire sulla grande ricchezza. “Invece di porre la questione della giustizia solo a chi ha redditi minimi o nulli”, afferma Schmidt, “bisognerebbe coinvolgere maggiormente nel finanziamento della nostra comunità coloro che hanno i redditi e i patrimoni più alti”.
Lo scontro è frontale e si consuma anche tra le righe del contratto di coalizione, un documento che parla sì di una riforma, ma la cui interpretazione è oggi terreno di scontro. Persino nell’ala sociale della CDU, la Christlich-Demokratische Arbeitnehmerschaft (CDA), emergono voci critiche. Christian Bäumler definisce quella di Linnemann una “ossessione politica”, avvertendo che l’obiettivo deve essere portare le persone al lavoro, non “farle morire di fame o lasciarle senza casa”.

La “crisi di giustizia” vista dal basso: la parola a chi il Bürgergeld lo vive ogni giorno
Lontano dai palazzi della politica di Berlino, c’è chi questa realtà la vive sulla propria pelle. E la sua voce, raccolta e amplificata da associazioni come “Sanktionsfrei”, offre una prospettiva che smonta le narrazioni ufficiali. Helena Steinhaus, fondatrice dell’associazione, ha usato il palco di un premio ricevuto a Marburg per lanciare un j’accuse appassionato e documentato.
“Parlano di ‘amaca sociale'”, ha dichiarato, “quando qualcuno riceve la cifra ridicola di 563 euro al mese. Ma l’amaca non esiste, a meno che non si intenda la sala d’attesa di un Jobcenter”. La sua testimonianza descrive un sistema fondato sulla diffidenza e il controllo, dove la burocrazia diventa un labirinto progettato per sfinire. Un sistema dove chi riceve un regalo di 50 euro per il compleanno è costretto a restituirlo, mentre “patrimoni milionari e miliardari passano di generazione in generazione esentasse”.
Steinhaus ribalta il tavolo: il problema non è una “crisi del welfare”, ma una “crisi di giustizia”. Una crisi di ipocrisia di un sistema che “grida all’amaca sociale, ma guarda generosamente dall’altra parte quando i super-ricchi moltiplicano i loro miliardi, spesso frodando la comunità”. Il riferimento allo scandalo finanziario del Cum-Ex è diretto. La sua analisi è spietata: la povertà non è una colpa individuale legata alla pigrizia, ma una condizione sistemica, “fatta e voluta”.
La proposta di “Sanktionsfrei” è altrettanto chiara: un sussidio minimo senza sanzioni, calcolato scientificamente e non politicamente. Il Paritätischer Gesamtverband, una delle più grandi associazioni di assistenza sociale, ha fatto i conti: per una vita dignitosa servirebbero almeno 813 euro al mese. Un importo che, secondo Steinhaus, darebbe ai beneficiari non solo ossigeno per vivere, ma anche una vera base negoziale sul mercato del lavoro.

Tra Costituzione e cavilli tecnici: perché tagliare il Bürgergeld non è così semplice
Ma al di là dello scontro ideologico, è davvero possibile cancellare il Bürgergeld con un tratto di penna? La risposta è no, e la ragione risiede nel cuore dell’ordinamento tedesco: la Costituzione, o Grundgesetz. Una sentenza storica della Corte Costituzionale Federale del 2010 ha stabilito un principio invalicabile: lo Stato ha l’obbligo di garantire un “minimo esistenziale dignitoso” (menschenwürdiges Existenzminimum). Questo diritto fondamentale assicura a ogni persona bisognosa non solo la sopravvivenza fisica, ma anche un “livello minimo di partecipazione alla vita sociale, culturale e politica”.
Questo significa che l’importo base del Bürgergeld, attualmente 563 euro, non può essere ridotto arbitrariamente. Deve essere calcolato sulla base di dati statistici affidabili, contenuti nel “Rapporto sul minimo esistenziale” che viene aggiornato ogni due anni. Una riduzione dell’assegno è, di fatto, giuridicamente impraticabile.
Allora, dove si concentra la riforma? Su due leve. La prima, come visto, sono le sanzioni. Se non si può abbassare il livello base per tutti, si può togliere a chi, secondo il legislatore, non rispetta le regole. La seconda leva, più tecnica ma non meno importante, è il meccanismo di adeguamento. Il governo di grande coalizione ha già messo nero su bianco nel suo contratto l’intenzione di “riportare il meccanismo di adeguamento dei tassi di riferimento all’inflazione allo stato di diritto precedente alla pandemia”. In parole povere, si vuole tornare al metodo di calcolo di Hartz IV, eliminando la “progressione supplementare” introdotta con il Bürgergeld, che teneva maggiormente conto dell’inflazione recente. L’effetto? Gli aumenti futuri saranno più lenti e meno generosi, erodendo di fatto il potere d’acquisto del sussidio nel tempo.

Non solo un sussidio: sul piatto c’è l’anima del modello sociale tedesco
La battaglia sul Bürgergeld, quindi, è molto più complessa di uno slogan. È una partita a scacchi che si gioca su più tavoli: politico, sociale, legale ed economico. Ed è proprio sul piano economico che emerge una delle riflessioni più profonde e controintuitive. Come sottolinea Helena Steinhaus, un sistema di welfare debole non danneggia solo chi ne ha bisogno. Funge da “minaccia per tutti coloro che lavorano”.
Il messaggio implicito è: “Accetta questo lavoro, a queste condizioni, perché l’alternativa è finire qui, in questo limbo di burocrazia e miseria”. Questo meccanismo, secondo molti analisti, è una delle ragioni per cui la Germania, nonostante la sua potenza economica, ha uno dei più grandi settori a basso salario (Niedriglohnsektor) d’Europa. Un Bürgergeld più forte e meno punitivo non sarebbe solo un aiuto per i poveri, ma uno strumento per rafforzare il potere contrattuale di tutti i lavoratori, spingendo le aziende a offrire salari e condizioni migliori.
La Germania è a un bivio. La riforma del Bürgergeld non deciderà solo il destino di milioni di persone, ma definirà l’identità di una nazione per i decenni a venire. Sceglierà la via della responsabilità individuale spinta all’estremo, rischiando di acuire le disuguaglianze e la frattura sociale? O cercherà un nuovo equilibrio, uno che riconosca che in una società complessa la vulnerabilità non è una colpa e la solidarietà non è un costo, ma l’investimento più importante per il futuro? La Germania sta per decidere quale strada prendere. E la sua scelta, inevitabilmente, ci riguarderà tutti.