Immaginate la scena: siamo a metà maggio 2025. Dalla Cancelleria di Berlino, una notizia rimbalza sulle agenzie di stampa internazionali con la forza di un’onda d’urto. Il nuovo governo tedesco, guidato dalla figura decisa di Friedrich Merz, affiancato dal Ministro degli Esteri Johann Wadephul, non usa mezzi termini: la Germania punta a diventare la “più forte armata convenzionale d’Europa”. E per farlo, è pronta a un impegno finanziario senza precedenti: destinare il 5% del Prodotto Interno Lordo alla difesa. Una cifra che, fino a poco tempo prima, sembrava confinata ai libri di storia della Guerra Fredda o alle richieste più audaci dell’alleato americano, magari con un Donald Trump di ritorno alla Casa Bianca a battere i pugni sul tavolo della NATO.
Questa non è solo una dichiarazione d’intenti; è l’annuncio di una potenziale rivoluzione, un cambio di paradigma che promette di ridisegnare gli equilibri militari, economici e, forse, anche politici del Vecchio Continente. La stampa tedesca, da giorni, è un fermento di analisi, commenti e retroscena. Testate come german-foreign-policy.com, nota per le sue posizioni spesso critiche nei confronti delle ambizioni di politica estera tedesca, parlano apertamente di una possibile “Militärrepublik Deutschland”, una Germania che si appresta a una profonda trasformazione socio-economica, la più radicale dal 1990. D’altro canto, quotidiani di orientamento più conservatore come WELT analizzano con pragmatismo le implicazioni finanziarie per i partner europei, sollevando interrogativi sulla sostenibilità di un simile sforzo e sulle possibili, inedite, soluzioni per finanziarlo. Ma una cosa è certa: la quiete, o la relativa prevedibilità, che ha caratterizzato per decenni la politica di difesa tedesca sembra essere un ricordo sbiadito.

L’Eco di Antalya: “Pronti a Guidare, Pronti a Pagare”
Le parole del Ministro Wadephul, pronunciate a margine di un vertice NATO in Turchia, ad Antalya, risuonano ancora potenti. “La nuova Bundesregierung sostiene pienamente [l’obiettivo del 5%]”, avrebbe dichiarato, secondo quanto riportato anche dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung citata da german-foreign-policy.com, aggiungendo che Berlino è “pronta e in grado” di sostenere questo sforzo, un aumento che significherebbe più che raddoppiare le attuali spese militari. Si parla di cifre da capogiro: se prendessimo il PIL tedesco come riferimento, si passerebbe da circa 52 miliardi di euro (o 98 miliardi di dollari, come calcolato da WELT) a una somma che potrebbe toccare i 215-233 miliardi di euro/dollari annui. Un fiume di denaro che andrebbe a scavalcare persino la storica prima voce di bilancio, quella destinata al lavoro e alle politiche sociali, da cui dipendono pensioni e welfare.
Ma non è solo una questione di quantità. La visione tedesca, trapelata dalle dichiarazioni e dalle analisi, è chiara: Berlino è “pronta ad andare in un ruolo di leadership in Europa, ad essere un modello e a chiedere agli altri di seguirci”, come affermato da Wadephul e riportato da diverse fonti. Un’affermazione che non lascia spazio a interpretazioni ambigue sull’ambizione tedesca di porsi al centro della nuova architettura di sicurezza europea. Il Cancelliere Merz, nella sua dichiarazione programmatica al Bundestag, avrebbe rincarato la dose, affermando che il rafforzamento della Bundeswehr è la “priorità assoluta” e che il governo metterà a disposizione “tutti i mezzi finanziari necessari”. E mentre si delinea questo nuovo orizzonte, lo stesso Cancelliere ammette che queste decisioni saranno “plasmanti per la vita dei nostri figli e dei nostri nipoti”, un riconoscimento della portata epocale del cambiamento.

La Corsa al Riarmo: Ma Chi Può Davvero Tenerne il Passo?
La domanda sorge spontanea: come intende la Germania finanziare questa colossale impresa? Le analisi suggeriscono che Berlino, forte di una situazione debitoria (almeno fino a questo ipotetico 2025) considerata più solida rispetto ad altri grandi partner, potrebbe ricorrere massicciamente all’ indebitamento per scopi militari. Una strada che, però, come evidenziato sia da german-foreign-policy.com che da WELT, sembra sbarrata, o quantomeno estremamente impervia, per altri attori chiave del panorama europeo.
Prendiamo la Francia, tradizionalmente considerata, insieme al Regno Unito (ora fuori UE), una delle principali potenze militari convenzionali d’Europa. Secondo stime del Fondo Monetario Internazionale, citate da entrambe le testate tedesche, il debito pubblico francese potrebbe attestarsi intorno al 116,3% del PIL nel 2025. Imbarcarsi in un riarmo finanziato a debito sulla scala di quello tedesco potrebbe significare, per Parigi, rischiare una crisi finanziaria con echi di quella che ha scosso l’Eurozona un decennio e mezzo prima. Per il Regno Unito, con un debito/PIL stimato intorno al 103,9%, il quadro non sarebbe molto diverso.
E l’Italia? Il nostro Paese, con un debito pubblico che WELT colloca intorno al 135% del PIL, si troverebbe di fronte a una sfida ancora più ardua. Per raggiungere l’obiettivo del 5% del PIL, l’Italia dovrebbe quasi triplicare la sua attuale spesa per la difesa, passando da circa 34 miliardi di dollari (dato WELT) a una cifra che supererebbe gli 80 miliardi. Un’impresa titanica, difficilmente sostenibile attraverso un ulteriore ricorso al debito nazionale senza innescare reazioni negative sui mercati e un potenziale peggioramento del rating sovrano. Anche la Spagna vedrebbe il suo budget per la difesa più che raddoppiare, passando da circa 21 a oltre 60 miliardi di dollari, secondo i calcoli proposti da WELT.
In questo scenario, la conclusione che emerge dalle analisi pubblicate in Germania è quasi scontata: se solo Berlino ha la capacità (o la volontà politica) di accollarsi un simile fardello finanziario, la strada per la supremazia militare convenzionale tedesca in Europa sarebbe, di fatto, spianata. Un’Europa a due, o forse più, velocità anche sul fronte della difesa, con una Germania dominante e altri partner costretti a un ruolo di secondo piano, o a fare i conti con risorse decisamente più limitate. L’unica eccezione notevole, spesso citata da WELT, è la Polonia, che già nel 2025 potrebbe avvicinarsi al 4,7% del PIL per la difesa, superando persino la quota americana.

Il Tabù Infranto: Eurobond per Cannoni e Carri Armati?
Ed è qui che la discussione, come riportato con particolare enfasi da WELT, prende una piega inaspettata, quasi paradossale. Se la maggior parte dei grandi paesi europei non può permettersi individualmente un riarmo su questa scala, come si può garantire una deterrenza europea credibile e condivisa? La risposta che inizia a circolare, quasi sottovoce all’inizio, poi con sempre maggiore insistenza, ha un nome che per anni è stato un vero e proprio tabù, soprattutto a Berlino: Eurobond. O, per essere più specifici, “European defense bonds”, obbligazioni europee per la difesa.
L’idea, fino a poco tempo fa considerata eresia dalla rigorosa ortodossia fiscale tedesca, comincia a farsi strada. Persino economisti solitamente scettici sulla mutualizzazione del debito, come Veronika Grimm, membro del consiglio tedesco degli esperti economici, avrebbe ammesso, secondo quanto riportato da WELT, che per paesi come Francia, Italia e Spagna, con un debito superiore al 100% del PIL e margini fiscali ridotti, “l’unica possibilità” per finanziare maggiori spese per la difesa potrebbe risiedere in una qualche forma di debito comune europeo.
Certo, la strada non sarebbe priva di ostacoli. L’emissione di debito comune implicherebbe, quasi inevitabilmente, un trasferimento di competenze nazionali a livello europeo, un passo verso una maggiore integrazione politica che molti governi guardano con sospetto. La Commissione Europea, si legge su WELT, avrebbe già proposto prestiti per 150 miliardi di euro da destinare alla difesa, ma molti Stati membri, soprattutto quelli del sud Europa, esiterebbero ad accedervi perché questi prestiti andrebbero comunque ad aumentare il debito nazionale. La preferenza, per questi paesi, andrebbe a sovvenzioni a fondo perduto, finanziate appunto da Eurobond, che non impatterebbero direttamente sui bilanci nazionali.
La Germania, quindi, con la sua spinta decisa verso il 5%, potrebbe involontariamente diventare il catalizzatore per rompere il grande tabù degli Eurobond. Una mossa che, se da un lato potrebbe far storcere il naso ai puristi dell’austerità, dall’altro potrebbe rappresentare l’unica via per tenere insieme l’Europa della difesa. “La sicurezza ha diverse componenti,” avrebbe osservato l’economista Grimm a WELT, “non si tratta solo di sicurezza finanziaria, ma anche di sicurezza militare”. E i rivali geopolitici, come Russia e Cina, osserverebbero con attenzione queste vulnerabilità europee.

Dentro i Confini Tedeschi: L’Ombra della “Militärrepublik”
Mentre l’Europa discute di conti e sovranità, all’interno della Germania stessa, la prospettiva di un riarmo così massiccio solleva interrogativi profondi sulla natura stessa della società e dell’economia. È soprattutto german-foreign-policy.com a dipingere scenari a tinte fosche, evocando lo spettro di una “Militärrepublik Deutschland”.
Questa testata parla di un significativo spostamento degli equilibri di potere interni. L’industria della difesa, che attualmente rappresenterebbe solo lo 0,2% del PIL tedesco, vedrebbe il suo peso e la sua influenza politica crescere a dismisura, a scapito di settori tradizionalmente trainanti come quello automobilistico. Quest’ultimo, già in fase di contrazione (con una produzione calata del 31% tra il 2011 e il 2024 secondo una ricerca di Deutsche Bank Research citata da german-foreign-policy.com), potrebbe addirittura vedere alcune sue fabbriche, magari quelle meno utilizzate come gli stabilimenti Volkswagen di Osnabrück o Dresda, o quello Ford a Saarlouis, riconvertite per la produzione di armamenti. Un processo di “conversione al contrario” che accelererebbe la capacità produttiva bellica.
Ma la trasformazione non sarebbe solo industriale. Si profila una militarizzazione più ampia della società civile. German-foreign-policy.com riporta di pressioni crescenti sugli ospedali, non tanto per migliorare l’assistenza sanitaria alla popolazione, quanto per prepararsi a scenari di guerra, con stime che parlano di circa 1.000 soldati feriti al giorno. Ai cittadini verrebbe chiesto di diventare più “resilienti”, di fare scorte di emergenza, di prepararsi individualmente a un eventuale conflitto, come suggerito da dichiarazioni riportate dalla testata (ad esempio, “Die Bevölkerung in Deutschland muss resilienter werden” da zeit.de, citato).
E, forse l’aspetto più inquietante per una nazione che ha fatto i conti con il proprio passato militarista, si registra una crescente retorica sulla necessità di un “coraggio collettivo nel sacrificio” (“kollektiver Opfermut”). German-foreign-policy.com cita un articolo della Frankfurter Allgemeine Zeitung (a firma Egon Flaig) che sosterrebbe che “tutte le eccezionali conquiste culturali” dipendono dalla “volontà di impegno di individui e gruppi” e che questo “coraggio collettivo” è la “risorsa cardinale di ogni difesa bellica” e deve quindi essere promosso. Un sondaggio recente, citato sempre da german-foreign-policy.com (da theeuropean.de), indicherebbe che il 50% della popolazione tedesca sarebbe favorevole a rendere la Germania “pronta alla guerra” (“kriegstüchtig”), anche se, per ora, solo il 29% si dichiarerebbe disposto a “difendere la Germania con le armi”. Un “per ora” che lascia aperti molti interrogativi.

L’Italia e l’Europa di Fronte al Bivio Tedesco
Per l’Italia, e per l’Europa intera, la svolta tedesca rappresenta un bivio cruciale. La spinta di Berlino verso un riarmo così imponente è una risposta necessaria e pragmatica alle crescenti minacce geopolitiche, un modo per l’Europa di assumersi finalmente le proprie responsabilità in materia di sicurezza? Oppure è l’alba di una nuova egemonia tedesca, mascherata da necessità difensive, che rischia di creare ulteriori squilibri e divisioni all’interno dell’Unione?
Il nostro Paese si trova stretto tra l’incudine delle proprie fragilità finanziarie e il martello delle aspettative degli alleati e della mutata realtà internazionale. Potrà l’Italia permettersi di seguire, anche solo parzialmente, la corsa al riarmo tedesca? O sarà costretta a fare affidamento su soluzioni di condivisione dei costi, come gli Eurobond per la difesa caldeggiati implicitamente da analisi come quelle di WELT, spingendo per una maggiore solidarietà europea anche in questo campo tradizionalmente gelosamente nazionale?
La strada che la Germania sembra aver imboccato è lastricata di ambizioni, ma anche di incognite. La sua ricerca di una “forza plasmatrice nel mondo” e di un’Europa che “risponda alle sue aspirazioni e al suo significato globale” sotto la guida tedesca, potrebbe portare a una maggiore coesione e capacità di deterrenza del continente. Ma potrebbe anche, se non gestita con equilibrio e un reale spirito di partenariato, esacerbare le tensioni, approfondire le divisioni tra chi può “permettersi” la sicurezza e chi arranca, e persino alterare la natura delle democrazie europee sotto il peso di una crescente militarizzazione, come temono le voci critiche raccolte da german-foreign-policy.com.
Una cosa è certa: le decisioni che verranno prese a Berlino nei prossimi mesi e anni, e le risposte che daranno le altre capitali europee, Roma inclusa, definiranno il volto della sicurezza, dell’economia e forse dell’identità stessa dell’Europa per le generazioni a venire. L’eco di quelle dichiarazioni da Antalya e Berlino, amplificato dalle pagine di WELT e german-foreign-policy.com, è destinato a farsi sentire a lungo.