C’è un filo rosso, a volte invisibile, altre volte teso fino quasi a spezzarsi, che unisce da secoli la Germania e la Russia. Un legame fatto di scambi culturali profondi, di dinastie intrecciate, di migrazioni e, tragicamente, di conflitti devastanti. Oggi, mentre le sirene della geopolitica suonano un allarme assordante e la guerra in Ucraina ridefinisce gli equilibri mondiali, comprendere la natura complessa delle relazioni Russia Germania non è solo un esercizio accademico, ma una necessità per decifrare il presente e, forse, per influenzare il futuro. In un’illuminante e a tratti provocatoria intervista rilasciata a Roberto De Lapuente per l’Overton Magazin, il Dr. Hauke Ritz, filosofo e ricercatore per la pace, ci offre una prospettiva controcorrente, una lettura che scuote le certezze del mainstream e ci costringe a guardare oltre la superficie delle narrazioni ufficiali.

Un Sottile Presagio: Quando la Russofobia Iniziò a Germogliare
Ricordate il 2007? Forse per molti era un anno come un altro, ma per Hauke Ritz segnò un punto di svolta, una sorta di presagio. “Ho iniziato a notare la russofobia, in modo più marcato, intorno al 2007,” racconta Ritz, poco prima del celebre discorso di Putin alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco. Non si trattava di critiche isolate o di analisi ponderate, ma di “articoli su commissione, tirati per i capelli,” pubblicati in serie dalle principali testate tedesche. L’obiettivo, secondo Ritz, era chiaro: equiparare la Russia di Putin al Terzo Reich, evocare lo spettro dello stalinismo, dipingere un paese ancora impantanato nei gulag e guidato da un leader autoritario con mire espansionistiche. Per chi, come Ritz, era cresciuto negli anni ’80, all’apice della Guerra Fredda, con il terrore palpabile di un conflitto nucleare, quel linguaggio non era innocuo. “Ho letto quei segnali quasi immediatamente come una preparazione alla guerra,” afferma con una serietà che non lascia spazio a dubbi. Era l’inizio di una deriva che, secondo il filosofo, avrebbe inevitabilmente portato a una confrontazione militare tra l’Occidente e la Russia. Un’intuizione che lo allontanò progressivamente dal mondo accademico tradizionale, dove questi temi, a suo dire, non trovavano spazio né ascolto.
Ma è davvero così semplice? La storia delle relazioni Russia Germania è solo una cronaca di sospetti e ostilità? Ritz ci invita a fare un passo indietro, a sfogliare pagine di storia spesso dimenticate o volutamente ignorate.

L’Altra Faccia della Medaglia: Secoli di “Russofilia” e Intrecci Profondi
Se oggi la narrazione dominante enfatizza la russofobia, Ritz ci ricorda con forza che per almeno due secoli, all’incirca dall’epoca di Pietro il Grande fino a Bismarck, a dominare in Germania fu una profonda “russofilia”. Un’epoca d’oro in cui centinaia di migliaia di tedeschi emigrarono in Russia: mercanti, scienziati, artigiani, che contribuirono in modo significativo alla modernizzazione dell’Impero Russo. Figure come Leibniz dialogavano con lo Zar, una zarina tedesca (Caterina la Grande) segnò un’epoca, e ministri di origine tedesca sedevano regolarmente nei gabinetti russi. “Era quasi una sorta di matrimonio,” descrive Ritz, un legame così stretto da rendere impensabile un conflitto diretto tra le due nazioni. Persino la Guerra dei Sette Anni, che vide Russia e Prussia su fronti opposti, non fu, secondo Ritz, una vera e propria guerra russo-tedesca, ma un conflitto intra-tedesco più ampio, in cui la Russia agì quasi da bilanciere.
Questa tendenza alla vicinanza, questo desiderio di comprensione e collaborazione, non è svanito nel nulla. Ritz la vede riemergere in momenti cruciali: durante la Ostpolitik di Willy Brandt, nel periodo della Perestrojka di Gorbaciov e della riunificazione tedesca, e persino sotto la cancelleria di Gerhard Schröder, con i suoi stretti legami con Putin. Esiste, secondo Ritz, una “complementarità” quasi unica tra la cultura tedesca e quella russa. I tedeschi, con la loro meticolosità (“penibel,” dice Ritz), e i russi, con la loro generosità d’animo (“großzügig”), condividerebbero una profonda inclinazione verso gli ideali. La filosofia e la letteratura tedesca – dall’Idealismo al Romanticismo, da Goethe a Thomas Mann, passando per E.T.A. Hoffmann e Remarque – hanno trovato in Russia un terreno incredibilmente fertile, e viceversa, pensiamo all’impatto di Dostoevskij e Tolstoj sulla cultura tedesca. “Quando viaggio in Russia,” racconta Ritz, “incontro persone che vogliono parlare con me di E.T.A. Hoffmann. Questo in Germania succede raramente.”
Eppure, questa profonda corrente di affinità è stata, negli ultimi anni, “sovrascritta da interessi geopolitici, da interessi transatlantici, che con denaro e reti di influenza hanno girato le cose.” Una constatazione amara, che ci porta al cuore del dramma attuale.

Il Ruolo Cruciale della Germania: Tra “Ingratitudine” e Destino di Pace
Uno dei saggi più significativi di Hauke Ritz si intitola, non a caso, “Perché la pace nel mondo dipende dalla Germania”. Una tesi audace, che poggia su una lettura storica precisa. “Quasi tutte le grandi guerre, a partire dal XVII secolo, sono connesse alla Germania,” argomenta Ritz. Dalla Guerra dei Trent’Anni, passando per la Guerra dei Sette Anni (che ebbe un teatro anche nordamericano), le Guerre Napoleoniche, fino, ovviamente, alle due Guerre Mondiali e alla Guerra Fredda, che vide la Germania divisa e al centro dello scontro ideologico. Anche oggi, nel conflitto ucraino, il ruolo della Germania è, per Ritz, determinante. Senza il supporto logistico tedesco, senza l’hub di coordinamento NATO a Wiesbaden (che, secondo rivelazioni del New York Times, sarebbe direttamente coinvolto nella “kill chain”), senza l’industria bellica tedesca come Rheinmetall, la guerra non potrebbe continuare con questa intensità.
Questo ci porta a un punto dolente, quasi un’accusa che Ritz muove, seppur con amarezza, alla sua stessa nazione: l’ingratitudine. Dopo che l’Unione Sovietica, nonostante i 27 milioni di morti subiti durante la Seconda Guerra Mondiale (16 milioni dei quali civili, con episodi di una brutalità inaudita come l’incendio di 5000 villaggi bielorussi con i loro abitanti), ebbe un ruolo determinante nel “regalare” la riunificazione alla Germania – un evento che né la Thatcher né Mitterrand vedevano di buon occhio – la Germania, oggi, risponderebbe appoggiando una politica che mira a “spaccare lo spazio culturale russo.” Ritz si riferisce all’Ucraina, una terra che, a suo dire, condivide profondamente lingua, religione ortodossa e storia con la Russia. Kiev, vista da un reporter della ZDF, “sembra Mosca,” osserva Ritz, a sottolineare questa profonda connessione che la politica attuale vorrebbe negare.
“Come ringraziamento per la riunificazione, ora dividiamo lo spazio culturale russo,” sintetizza amaramente Ritz. Un’azione che considera non solo ingrata, ma storicamente miope, una ripetizione degli errori del passato. Se la Germania, memore della sua storia e consapevole del suo peso specifico, decidesse di ritirare il suo appoggio a questa guerra, “allora sarebbe finita,” sostiene con convinzione. “Anche se gli Stati Uniti, la Francia o l’Inghilterra volessero continuarla, senza la Germania non sarebbe possibile.” Un’affermazione che carica la Germania di una responsabilità immensa, quasi fatale.

L’Ucraina: “Terra di Confine” e Pedina Geopolitica
La visione di Ritz sull’Ucraina è netta e si discosta radicalmente dalla narrazione occidentale. “Ucraina” significa letteralmente “alla frontiera” (u-krai). Una terra che, storicamente, è stata raramente indipendente, contesa tra Polonia, Impero Ottomano e, per lungo tempo, l’Impero Russo e poi l’Unione Sovietica. Questa assenza di una solida e continua tradizione statale, secondo Ritz, ha reso la sua politica interna particolarmente vulnerabile alla corruzione e all’influenza esterna. “L’Ucraina non è mai veramente uscita dagli anni ’90,” afferma, a differenza della Russia che, sotto Putin, avrebbe ricostruito uno stato funzionante.
L’attuale spinta verso l’Occidente, culminata con gli eventi del 2014 e la guerra odierna, sarebbe il risultato di una massiccia ingerenza esterna. Ritz cita Victoria Nuland e i 5 miliardi di dollari investiti dagli USA fino al 2014 per la “promozione della democrazia” in Ucraina, fondi che avrebbero pesantemente influenzato l’opinione pubblica e fomentato determinate tendenze nazionaliste, come la riabilitazione di figure controverse come Stepan Bandera. L’obiettivo finale? Sottrarre l’Ucraina all’influenza russa e integrarla nella sfera occidentale, con le grandi multinazionali agricole americane già pronte, secondo Ritz, a mettere le mani sulle fertili terre nere ucraine.

Uno Sguardo Diverso sulla Russia: Oltre gli Stereotipi dell’Orso Aggressivo
Forse l’aspetto più controintuitivo dell’analisi di Ritz è la sua descrizione della Russia e dei russi. Lungi dal dipingerli come una nazione intrinsecamente aggressiva o revanscista, Ritz sottolinea una sorprendente capacità di perdono e una scarsa inclinazione all’odio generalizzato. “I russi distinguono sempre tra il governo e la popolazione,” racconta, basandosi sulla sua esperienza diretta, anche durante il periodo bellico. Nonostante il massiccio sostegno tedesco all’Ucraina, non avrebbe mai subito aggressioni o manifestazioni di ostilità in Russia in quanto tedesco.
Anzi, secondo Ritz, “i russi provano quasi compassione (Mitleid) per noi, per il fatto che abbiamo questo governo.” Una compassione che deriverebbe dalla consapevolezza dei profondi legami culturali e dalla percezione che l’attuale leadership tedesca non rappresenti i veri sentimenti del popolo tedesco verso la Russia. Ricorda la generosità con cui i russi, nonostante le immani sofferenze della Seconda Guerra Mondiale, hanno concesso la riunificazione, mossi dal desiderio di una partnership paritaria con una Germania unita e forte, piuttosto che con una DDR debole o una Bundesrepublik dimezzata. Persino l’accettazione da parte di Gorbaciov dell’ingresso della Germania unita nella NATO fu, secondo Ritz, un atto di fiducia nella maturità culturale e politica tedesca, nella speranza che la Germania sapesse mantenere buoni rapporti con la Russia nonostante l’appartenenza all’alleanza atlantica.
Ritz contesta anche l’idea di una Russia isolata o militarmente inferiore alla NATO nel contesto ucraino. Sottolinea la parità nucleare, la superiore capacità produttiva russa in termini di munizionamento convenzionale, l’esperienza di combattimento acquisita dall’esercito russo e le difficoltà logistiche e di volontà politica che la NATO incontrerebbe nello schierare un numero significativo di truppe. Le società occidentali, a suo dire, sono troppo divise e poco disposte a sacrifici umani ingenti per sostenere un conflitto diretto.

Un Futuro Incerto: La Speranza di un Nuovo “Willy Brandt”
Nonostante la durezza della sua analisi e la critica severa all’attuale politica tedesca, Hauke Ritz non chiude la porta alla speranza. Crede nella “magnanimità” del popolo russo, nella sua capacità, alla fine, di perdonare, come già avvenuto dopo il secondo conflitto mondiale. “Saranno arrabbiati per un po’, delusi, e poi ci perdoneranno di nuovo, generosi come sono,” afferma. La condizione, però, è che in Germania emerga una nuova leadership, figure della statura di un Willy Brandt o di un Egon Bahr, capaci di “saltare oltre la propria ombra” e di ricostruire un dialogo autentico con Mosca.
Le relazioni Russia Germania sono a un bivio storico. Le parole di Hauke Ritz, che piacciano o meno, ci costringono a interrogarci profondamente sulla nostra storia, sulle nostre responsabilità e sulle possibili vie d’uscita da una crisi che minaccia di travolgere l’Europa intera. Forse, proprio nel riscoprire quei fili culturali e umani che ci legano, al di là delle contingenze politiche, si cela la chiave per un futuro meno incerto. La domanda rimane sospesa, pesante come un macigno: la Germania saprà ascoltare queste voci fuori dal coro e assumersi il ruolo, scomodo ma forse necessario, di costruttrice di pace, o continuerà su un sentiero che, secondo Ritz, porta dritto verso un’ulteriore escalation? Solo il tempo, e le scelte che verranno compiute, potranno dirlo. Ma l’eco delle parole di Ritz, e la sua fede in una possibile riconciliazione, rimane un monito e, al contempo, un flebile barlume di speranza.