Da diverse fonti istituzionali in Germania – ministeri, Bundeswehr, figure politiche – emerge con crescente insistenza una spinta verso la preparazione della popolazione civile a scenari di conflitto su larga scala. Documenti emersi recentemente delineano un quadro in cui la preparazione alla guerra in Germania viene presentata non come un’ipotesi remota, ma come una necessità concreta che richiede azioni immediate da parte dei cittadini. L’espressione “Krieg geht alle an” (La guerra riguarda tutti), utilizzata da figure militari, sembra voler incapsulare questa nuova dottrina, sollevando interrogativi sulla direzione che sta prendendo la politica di sicurezza nazionale e sul rapporto tra Stato e cittadino.

Le giustificazioni addotte per questa mobilitazione si basano su proiezioni allarmanti: si parla, ad esempio, della necessità di gestire un afflusso di almeno mille feriti al giorno provenienti da un ipotetico fronte orientale, una cifra definita “probabilmente troppo bassa” da alcune stime. Parallelamente, ambienti legati ai riservisti ipotizzano scenari con perdite fino a 5.000 caduti al giorno. Queste cifre, presentate come base per le richieste di preparazione, meritano un’analisi attenta riguardo alla loro fondatezza e al loro utilizzo per promuovere misure che incidono profondamente sulla società civile. L’enfasi sulla difesa civile e sulla resilienza individuale segna un cambiamento significativo, le cui implicazioni vanno esaminate criticamente.
Dalla Protezione Statale all’Autonomia Individuale: L’Onere delle Scorte
Un elemento centrale di questa strategia è la promozione attiva dell’autosufficienza dei cittadini in caso di crisi. Se la Commissione Europea raccomanda di predisporre risorse per resistere 72 ore senza aiuti esterni, le autorità tedesche, specificamente l’Ufficio Federale per la Protezione Civile e l’Assistenza in caso di Catastrofi (BBK), elevano questa richiesta a dieci giorni di autonomia. Questa indicazione si traduce in precise liste di beni da accumulare: 20 litri d’acqua pro capite, 3,5 kg di cereali/pane/riso, 4 kg di verdure/legumi, oltre a candele, fiammiferi e altri beni essenziali.
Al di là dell’aspetto pratico, questa insistenza sulle scorte d’emergenza in Germania può essere interpretata come un parziale trasferimento dell’onere della gestione delle crisi dallo Stato all’individuo. Mentre viene offerto supporto informativo (come il “calcolatore di scorte” online), la responsabilità primaria di garantirsi la sopravvivenza per un periodo prolungato ricade sul singolo nucleo familiare. Questa impostazione solleva interrogativi sull’equità della misura – non tutti potrebbero avere le risorse economiche o lo spazio per accumulare tali scorte – e sulla capacità effettiva dello Stato di intervenire in scenari critici, se la prima linea di difesa diventa la dispensa privata.

Accanto alle scorte materiali, si promuove una sorta di “scorta” di competenze, con la Croce Rossa Tedesca (DRK) che spinge per la diffusione massiccia di corsi di primo soccorso. L’obiettivo dichiarato è formare fino a 16 milioni di persone, un quinto della popolazione. Se da un lato una maggiore conoscenza delle pratiche di primo soccorso è indubbiamente utile, presentare questa misura nel contesto della preparazione bellica e con obiettivi numerici così ambiziosi suggerisce una visione in cui il soccorso professionale potrebbe non essere garantito o sufficiente, demandando ai cittadini stessi compiti di assistenza potenzialmente complessi e stressanti in situazioni di emergenza estrema. La preparazione richiesta dal BBK e da altre istituzioni configura quindi un modello di cittadino non solo informato, ma attivamente responsabile della propria e altrui sopravvivenza immediata.
Proiezioni Militari e l’Ideale del “Massen-Heer”: Una Spirale di Cifre?
Parallelamente alla mobilitazione civile, si assiste a una forte pressione per un drastico aumento dell’esercito tedesco e delle sue riserve. Le cifre avanzate dall’Associazione dei Riservisti, guidata da Patrick Sensburg (CDU), sono notevoli e basate su scenari estremamente gravi. L’ipotesi di 5.000 caduti NATO al giorno su un fronte orientale viene usata per giustificare la necessità di poter rimpiazzare rapidamente le perdite, pena il “collasso del fronte”, secondo un calcolo presentato come quasi matematico.

Su questa base, si arriva a richiedere un esercito attivo compreso tra 300.000 e 350.000 soldati e un corpo di riservisti attivi vicino al milione. Quest’ultima cifra appare particolarmente imponente se confrontata con gli attuali 40.000 riservisti “attivi”. La conclusione di Sensburg è che la Germania necessiti di un “esercito di massa” (Massen-Heer). Questa retorica e queste cifre sollevano interrogativi sulla loro plausibilità e sulle conseguenze di un simile potenziamento. Si tratta di proiezioni realistiche o di scenari estremi utilizzati per ottenere un consenso politico e sociale verso un riarmo su larga scala?
L’adozione di un modello di “esercito di massa” rappresenterebbe un’inversione di tendenza rispetto alla professionalizzazione delle forze armate perseguita negli ultimi decenni e comporterebbe costi economici e sociali enormi. Inoltre, la focalizzazione su numeri così elevati, basati su stime di perdite giornaliere reminiscenti dei conflitti mondiali, potrebbe contribuire a una normalizzazione della prospettiva di una guerra ad alta intensità in Europa, con implicazioni potenzialmente destabilizzanti per la sicurezza regionale. La richiesta di un massiccio aumento dei riservisti in Germania e del potenziamento della Bundeswehr merita quindi un esame critico non solo sulla sua fattibilità, ma anche sulle sue premesse e sulle sue possibili conseguenze strategiche e sociali.

Il Sistema Sanitario Civile Sotto Pressione Bellica
Le proiezioni di perdite militari si traducono inevitabilmente in un’enorme pressione potenziale sul sistema sanitario tedesco. La gestione di “masse di feriti”, stimate in almeno 1.000 al giorno ma potenzialmente molte di più, rappresenta una sfida che, secondo diverse fonti citate nei documenti, l’attuale sistema non è in grado di affrontare. Viene evidenziato il divario tra la capacità attuale (circa 85 traumi gravi trattati al giorno a livello nazionale) e le necessità proiettate in uno scenario di conflitto.
Il deputato dei Verdi Janosch Dahmen sottolinea che il sistema non è preparato né numericamente né strutturalmente, evidenziando la vulnerabilità a condizioni operative degradate, come “continui attacchi di droni o fuoco di artiglieria” che potrebbero colpire le stesse strutture civili. Anche il personale specializzato degli ospedali militari sarebbe in gran parte richiesto al fronte, secondo il medico generale Johannes Backus, lasciando il grosso dell’onere sul sistema civile. La richiesta della ministra bavarese Judith Gerlach di prepararsi ad “attacchi bellici di ogni tipo” conferma la gravità con cui viene percepita questa vulnerabilità a livello politico.
Questa situazione solleva questioni critiche sull’opportunità e la fattibilità di riconfigurare un sistema sanitario civile per rispondere a esigenze prettamente belliche. Quali sarebbero le conseguenze per l’assistenza ordinaria ai cittadini? Come garantire la sicurezza del personale e dei pazienti civili in strutture potenzialmente militarizzate o esposte ad attacchi? La preparazione del sistema sanitario alla guerra in Germania sembra richiedere scelte difficili, con il rischio di compromettere la sua funzione primaria in tempo di pace o di rivelarsi comunque insufficiente di fronte a scenari catastrofici come quelli prospettati. L’ammissione stessa dell’attuale inadeguatezza appare come un punto critico significativo.

Protezione Civile: Lacune Strutturali e Appelli al Volontariato
Le dichiarazioni attribuite al segretario generale della Croce Rossa Tedesca (DRK), Christian Reuter, mettono in luce quelle che vengono definite “grandi lacune nella protezione civile”. A fronte di una capacità attuale di assistere poche decine di migliaia di persone, le necessità stimate in caso di conflitto raggiungerebbero tra 840.000 e 1,7 milioni di persone. Questa discrepanza evidenzia una possibile sotto-pianificazione o un sotto-finanziamento cronico del settore.
Le mancanze segnalate dal DRK sono concrete: assenza di veicoli d’intervento fuoristrada in numero sufficiente, necessità di “moduli di assistenza mobile” su larga scala e di ospedali da campo. Oltre alle carenze materiali, si lamenta una carenza di personale, che si cerca di colmare proponendo la formazione di personale non specializzato come supporto all’assistenza e auspicando un massiccio incremento dei volontari (fino a 200.000 l’anno).
Se da un lato l’appello al volontariato è comprensibile, affidarsi in modo così massiccio a volontari e personale non specializzato per gestire scenari di crisi estrema solleva dubbi sulla sostenibilità e l’efficacia di tale approccio. La preparazione della Croce Rossa Tedesca, così come descritta, sembra dipendere da un auspicato, ma non garantito, slancio di volontariato e da soluzioni tampone (formazione rapida di non specialisti), piuttosto che da investimenti strutturali e da un numero adeguato di professionisti stipendiati, commisurati alle necessità prospettate. Le lacune evidenziate dal DRK potrebbero quindi rappresentare un punto debole critico nell’intera architettura della difesa civile promossa dalle istituzioni.

L’Ombra della Guerra nelle Aule: Protezione Civile o Normalizzazione del Conflitto?
Una delle proposte più sensibili e potenzialmente controverse emerse è quella, sostenuta attivamente dal Ministero dell’Interno Federale, di introdurre la protezione civile nell’istruzione scolastica. Si parla di insegnare metodi di autoprotezione, comportamenti in caso di catastrofi e persino di svolgere “esercitazioni di protezione civile nelle scuole”. Pur riconoscendo la competenza dei Länder in materia di contenuti didattici, il governo federale, tramite il BBK, si offre di fornire materiali di supporto.
Questa spinta verso l’integrazione di tematiche legate alla crisi e potenzialmente alla guerra nel curriculum scolastico viene giustificata da politici come Roderich Kiesewetter (CDU) con la necessità di preparare gli studenti, considerati “particolarmente vulnerabili”, citando il modello finlandese. Altri, come Marie-Agnes Strack-Zimmermann (FDP), affermano che l’obiettivo “non è diffondere paura” ma “percepire consapevolmente la realtà”. Tuttavia, l’introduzione di esercitazioni per “l’emergenza” (Ernstfall) e la discussione di possibili “attacchi” rivolta a bambini e adolescenti solleva serie preoccupazioni pedagogiche ed etiche.
Si può realmente insegnare la preparazione a scenari bellici senza generare ansia o, peggio, senza contribuire a una normalizzazione dell’idea stessa di guerra come evenienza possibile e gestibile? La protezione civile nelle scuole tedesche, così come proposta, rischia di trasformarsi da educazione alla sicurezza in una forma di pre-mobilitazione psicologica. La linea tra preparazione responsabile e potenziale indottrinamento appare sottile. Le diverse giustificazioni politiche offerte (preparazione pratica, realismo, formazione civica legata a un possibile servizio nazionale) non eliminano i dubbi su questa iniziativa, che merita un dibattito pubblico approfondito prima di un’eventuale implementazione.

Il Contesto Europeo e la Retorica della Responsabilità Individuale
Le misure tedesche si inseriscono, come viene sottolineato, nel quadro di iniziative europee come la “Preparedness Union Strategy”, suggerendo una tendenza continentale verso una maggiore enfasi sulla resilienza civile. Tuttavia, questo continuo richiamo alla responsabilità individuale – dalle scorte alimentari alla formazione di primo soccorso, fino all’appello a “impegnarsi” – può essere letto anche criticamente.
Figure militari come il Capitano di Vascello Michael Giss criticano apertamente quella che definiscono la “mentalità da assicurazione kasko totale” (Vollkasko-Denke) dei cittadini, esortandoli ad abbandonarla e a chiedersi “Dove posso impegnarmi?”. Questa retorica, pur potendo apparire come uno sprone alla partecipazione civica, rischia di colpevolizzare i cittadini o di mascherare eventuali carenze strutturali dello Stato nel garantire la sicurezza. L’affermazione “Krieg geht alle an” (La guerra riguarda tutti), sebbene fattualmente ovvia in caso di conflitto, nel contesto attuale viene usata per giustificare richieste pressanti alla popolazione civile. Chi definisce i termini di questo “impegno” richiesto? E fino a che punto la responsabilità della preparazione può essere delegata all’individuo senza erodere il ruolo primario dello Stato nella difesa e nella protezione?

Prudenza Necessaria o Deriva Militarista?
L’insieme delle misure e delle dichiarazioni analizzate configura un quadro complesso e preoccupante. La preparazione alla guerra in Germania sta assumendo i contorni di una politica pervasiva, che tocca la vita quotidiana dei cittadini (scorte, formazione), l’educazione dei giovani, la struttura delle forze armate, l’organizzazione sanitaria e l’assetto della protezione civile. Le cifre e gli scenari utilizzati per giustificare questa mobilitazione sono spesso estremi e meritano un vaglio critico.
Se da un lato la prudenza e una certa preparazione a possibili crisi sono comprensibili nel contesto geopolitico attuale, dall’altro la scala delle richieste, la retorica utilizzata e l’enfasi sulla dimensione bellica sollevano interrogativi fondamentali. Si sta assistendo a una necessaria presa di coscienza dei rischi o a una progressiva militarizzazione della società e del pensiero? Le misure proposte rafforzeranno realmente la resilienza del Paese o rischiano di generare ansia, divisioni sociali e un dirottamento di risorse da altri settori vitali?
L’analisi critica delle informazioni disponibili suggerisce la necessità di un dibattito pubblico trasparente e approfondito sulle reali minacce, sulla proporzionalità delle risposte e sulle implicazioni a lungo termine di questa nuova dottrina della difesa civile e della preparazione bellica diffusa. La direzione intrapresa dalla Germania oggi potrebbe avere conseguenze significative non solo per i suoi cittadini, ma per l’intera Europa.