Parata Mosca 9 maggio

Il rombo dei motori, il passo cadenzato degli stivali sulla Piazza Rossa, lo sventolio fiero delle bandiere. Ogni anno, la Parata a Mosca del 9 maggio offre al mondo uno spettacolo imponente, una rievocazione potente della vittoria sul nazifascismo, un momento profondamente radicato nell’identità russa. Ma quest’anno, secondo alcune analisi taglienti e controcorrente come quella del commentatore tedesco Gert-Ewen Ungar su NachDenkSeiten.de, guardare solo ai carri armati e ai sistemi missilistici sarebbe stato come fissare il dito mentre indica la luna. La vera notizia, il vero spettacolo carico di significato, non era tanto sull’asfalto della piazza, quanto sulle tribune d’onore. solo celebrazione, ma un potente segnale geopolitico.

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Introduzione: Quando una Parata Diventa uno Specchio del Mondo

Immaginate la scena. Il cuore di Mosca, la Piazza Rossa, un palcoscenico intriso di storia, dramma e potere. Il 9 maggio, come ogni anno, la Russia celebra il Giorno della Vittoria sulla Germania nazista. I motori dei carri armati rombano, i passi cadenzati dei soldati risuonano sul selciato, i missili intercontinentali sfilano come moniti silenziosi. Per molti in Occidente, è un rituale quasi anacronistico, una dimostrazione muscolare di un paese percepito come isolato, impantanato in un conflitto logorante. Ma se ci fermassimo all’acciaio e alle uniformi, perderemmo il vero spettacolo, quello che si svolgeva non tanto sulla piazza, quanto ai margini di essa, sulla tribuna d’onore.

Gert Ewen Ungar

Quest’anno, la Parata di Mosca del 9 Maggio è stata molto più di una commemorazione. È stata, secondo alcune letture critiche come quella proposta dal commentatore tedesco Gert-Ewen Ungar su NachDenkSeiten, la visualizzazione plastica di una nuova realtà geopolitica, un mondo che sta cambiando pelle a velocità vertiginosa, mentre una parte significativa dell’Occidente, in particolare l’Europa e la Germania, sembra ostinarsi a non voler vedere, aggrappata a un ruolo e a pretese di influenza che suonano sempre più stonati, quasi “ridicoli” nel linguaggio diretto di Ungar. Questo non è solo un racconto di politica internazionale; è una storia di percezioni, di narrazioni contrastanti e di un possibile, profondo scollamento tra la mappa mentale dell’Occidente e il territorio mutevole del potere globale.

Non Solo Ospiti: La Tribuna Come Manifesto Geopolitico

Il vero evento, suggerisce Ungar, non erano i sistemi d’arma ultima generazione, ma i volti seduti accanto a Vladimir Putin. La presenza del presidente cinese Xi Jinping, spalla a spalla con il leader russo, non era una semplice cortesia diplomatica. Era il sigillo su un’intesa strategica che ambisce a ridisegnare gli equilibri globali. Ma la lista non finiva lì. C’erano Lula da Silva dal Brasile, Nicolás Maduro dal Venezuela, i presidenti di Vietnam e Palestina, il leader di transizione del Burkina Faso, Ibrahim Traoré. E poi, quasi tutti i capi di stato delle ex repubbliche sovietiche, con l’eccezione, ovviamente, dell’Ucraina.

Questa parata di leader, provenienti da continenti e sistemi politici diversi, rappresentava, agli occhi di Ungar, qualcosa di potente: il “contro-progetto” vivente all’egemonia occidentale e alla sua tanto sbandierata “ordnung basata su regole”. Un ordine che una vasta maggioranza del pianeta, secondo questa interpretazione, percepisce come ingiusto, poiché le regole sono state scritte da pochi e spesso applicate in modo diseguale. Non si trattava solo di assistere, ma di partecipare simbolicamente. La presenza di contingenti militari stranieri in marcia – soldati cinesi, egiziani, vietnamiti, laotiani, birmani – rafforzava questo messaggio: non siamo solo spettatori, siamo attori di questo nuovo scenario.

E mentre questo fronte composito si mostrava al mondo, un’assenza pesava quasi quanto le presenze: quella dei rappresentanti ufficiali della Germania. L’ambasciatore tedesco a Mosca, Alexander Lambsdorff, aveva chiarito già da gennaio che nessun delegato da Berlino avrebbe partecipato. Una decisione che, secondo Ungar, meriterebbe un’analisi a parte, ma che si inserisce perfettamente nel quadro di un’Europa occidentale che sembra preferire la chiusura e la condanna all’osservazione e al confronto con una realtà che non le piace. L’assenza tedesca, più che isolare Mosca, rischiava di auto-isolare Berlino dalla comprensione di dinamiche globali fondamentali.

Parata Mosca 9 Maggio

L’Occidente allo Specchio: Negazione e Pretese Fuori Tempo Massimo

Il punto cruciale dell’analisi di Ungar è questo: la consapevolezza che l’era dell’indiscussa egemonia occidentale stia tramontando esiste, persino a Lì, seduti accanto a Vladimir Putin, non c’erano solo ospiti di riguardo, ma i protagonisti visibili di una nuova realtà geopolitica che sta silenziosamente (ma nemmeno troppo) soppiantando l’ordine a cui l’Occidente, e in particolare l’Europa, sembra aggrapparsi con disperazione.

Quella del 2024 (o di un anno vicino, l’articolo di Ungar menziona un 80° anniversario che cadrebbe nel 2025, ma focalizziamoci sul concetto) non è stata, nella lettura di Ungar, una semplice commemorazione. È stata la visualizzazione plastica di un mondo che cambia, un manifesto vivente del declino dell’egemonia occidentale e dell’emergere di un blocco alternativo, unito non tanto da un’ideologia comune, quanto dal rifiuto di quella che viene percepita come una “ordnung basata su regole” dettata da pochi e applicata in modo diseguale. E mentre questo nuovo mondo si mostrava al sole di Mosca, l’Europa, secondo Ungar, restava chiusa nelle sue stanze, convinta di poter ancora dettare condizioni, lanciare ultimatum e ignorare i rapporti di forza reali, apparendo sempre più “fuori dal tempo”.

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La Tribuna d’Onore: Molto Più Che Semplici Ospiti

Scrutiamo più da vicino quella tribuna, attraverso la lente offerta da Ungar. L’assenza più notata, per un osservatore tedesco, è stata quella della Germania ufficiale. L’ambasciatore Lambsdorff aveva chiarito da tempo: nessun rappresentante tedesco avrebbe partecipato. Una decisione che, per Ungar, meriterebbe un’analisi a parte, ma che si inserisce perfettamente nel quadro di un Occidente che sceglie l’isolamento autoimposto da eventi che non riesce più a controllare o a definire secondo i propri termini.

Ma chi c’era, invece? La presenza più significativa, quasi iconica, è stata quella del presidente cinese Xi Jinping, seduto fianco a fianco con Putin. Un’immagine che vale più di mille trattati nel segnalare l’asse portante di questo nuovo ordine emergente. Ma la lista, come sottolinea Ungar, era lunga e variegata, rappresentativa di un Sud globale stanco dell’unipolarismo: il presidente brasiliano Lula da Silva, figura chiave dei BRICS; Nicolas Maduro dal Venezuela, da sempre in rotta con Washington; il presidente del Vietnam Luong Cuong; il presidente palestinese Mahmud Abbas, simbolo di una causa irrisolta che infiamma gran parte del mondo non-occidentale; persino il presidente di transizione del Burkina Faso, Ibrahim Traoré, rappresentante di un’Africa che cerca nuove strade lontano dalle vecchie influenze coloniali.

E ancora, i leader delle ex repubbliche sovietiche (con la prevedibile eccezione dell’Ucraina), a testimoniare legami storici e influenze che persistono nonostante tutto. Questa composizione, argomenta Ungar, non era casuale. Era la materializzazione del “contro-progetto” all’egemonia occidentale. Un insieme di nazioni che si sentono escluse dalla definizione delle regole globali, o che le percepiscono come ingiuste e funzionali solo agli interessi di pochi. Un messaggio rafforzato dalla presenza, sulla Piazza Rossa, di contingenti militari non solo russi, ma anche cinesi, egiziani, vietnamiti, laotiani e birmani. Quasi a dire: non siamo solo spettatori, siamo attori di questo cambiamento. (Ungar menziona anche un ringraziamento di Putin a ufficiali nordcoreani per il supporto nella liberazione di Kursk, un dettaglio storicamente peculiare che richiederebbe verifiche approfondite, ma che nel contesto dell’articolo serve a rafforzare l’idea di alleanze eterodosse e anti-occidentali).

L’Occidente Cieco? Bruxelles e nelle capitali europee. Tuttavia, prevale un rifiuto ostinato ad abbandonare la pretesa di essere gli unici depositari del destino europeo e, per estensione, i detentori delle regole valide per tutti. L’ambizione di poter “dettare le regole di Bruxelles” alla Russia o ad altri attori globali appare, alla luce dei reali rapporti di forza emersi anche simbolicamente durante la Parata di Mosca del 9 Maggio, sempre più “lontana dalla realtà”, per usare le parole del commentatore.

Questa disconnessione tra percezione e realtà, tra ambizione e capacità effettiva, non è solo una questione teorica. Ha conseguenze pratiche, spesso controproducenti, come dimostra un episodio quasi surreale avvenuto proprio a ridosso della parata.

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Il Caso Vucic-Fico: Quando la Toppa è Peggiore del Buco

Poche cose illustrano meglio la presunta disconnessione dalla realtà e la tendenza all’autolesionismo europeo, secondo l’analisi di Gert-Ewen Ungar, quanto il grottesco episodio che ha coinvolto il presidente serbo Aleksandar Vucic e il primo ministro slovacco Robert Fico. Entrambi avevano pianificato di partecipare alla Parata della Vittoria a Mosca il 9 maggio, sfidando le pressioni occidentali. La reazione di alcuni paesi UE, in particolare quelli baltici (ma Ungar sospetta una regia da Bruxelles), è stata drastica: negare il permesso di sorvolo ai loro aerei.

L’obiettivo, ipotizza Ungar, era probabilmente quello di mantenere in piedi la narrativa, diffusa e creduta in Occidente, dell’isolamento totale della Russia, impedendo che leader, soprattutto di paesi membri dell’UE o candidati, apparissero a Mosca accanto a Putin. Ma come spesso accade, secondo l’analista, nelle mosse di Bruxelles, il risultato è stato l’opposto: un clamoroso autogol.

Le presunte minacce e pressioni (Ungar cita Kaja Kallas, figura nota per le sue posizioni intransigenti verso Mosca) e il divieto di sorvolo non hanno fatto altro che attirare l’attenzione internazionale sui piani di Vucic e Fico, dando loro una visibilità inaspettata. Ma l’effetto più dirompente, sottolinea Ungar, è stato sull’immagine stessa dell’Unione Europea. Negare il sorvolo al leader di un paese dell’area Schengen per motivi puramente politici ha rafforzato l’impressione, già serpeggiante, di un’UE che scivola sempre più verso “l’arbitrio”, la “tirannia” e la “despotia”, abbandonando l’immagine di un’unione di stati sovrani basata sul diritto e sui principi democratici. La realtà, secondo Ungar, parlando di questo episodio, parla un linguaggio diverso da quello dei trattati: è il linguaggio della “volontà e del dispotismo”, della coercizione politica e della rappresaglia.

Lo scambio di battute tra Putin e Fico, una volta che quest’ultimo è riuscito ad arrivare a Mosca tramite un percorso più lungo, è emblematico nella lettura di Ungar. Putin, con malcelata ironia, ha commentato le “difficoltà logistiche” del viaggio di Fico, aggiungendo che chi aveva cercato di ostacolarlo non solo aveva fallito, ma aveva anche mostrato al mondo “lo stato interno desolante dell’Unione Europea”. Fico, ci racconta Ungar, sorrideva maliziosamente. Una scenetta che, secondo l’analista, ha messo a nudo davanti al mondo l’incapacità dell’UE di agire strategicamente, finendo per danneggiare la propria credibilità. Bruxelles non sembra in grado, secondo il commentatore, di anticipare le reazioni e gli effetti collaterali delle proprie decisioni “brachiali”. Questo piccolo aneddoto racchiude in sé il senso di un’azione europea percepita come goffa, prepotente e, alla fine, inefficace.

La Guerra in Ucraina: Pace Lontana, Sanzioni Spuntate e Illusioni Pericolose

Il discorso di Ungar si sposta inevitabilmente sul conflitto ucraino, visto come il prisma attraverso cui si rifrangono tutte queste dinamiche geopolitiche. Se la Parata di Mosca del 9 Maggio è stata il simbolo della nuova mappa geopolitica, il conflitto in Ucraina è il terreno su cui questa mappa viene disegnata col sangue e con decisioni politiche spesso miopi, almeno secondo l’analisi di Ungar.

La visita quasi simultanea di leader europei come Macron, e figure politiche di spicco come Merz (Germania), Starmer (UK) e Tusk (Polonia) a Kiev, viene interpretata da Ungar non come un gesto di solidarietà o un passo verso la pace, ma come l’ennesima conferma che “continuano a non avere interesse per la pace”. Le loro richieste a Mosca – un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni imposto alla Russia, accompagnato da minacce di nuove sanzioni – vengono liquidate da Ungar come pura “Realsatire” (una sorta di satira involontaria che nasce dalla realtà stessa).

Perché mai, si chiede retoricamente Ungar, Mosca dovrebbe piegarsi alla minaccia dell’ennesimo pacchetto di sanzioni, quando gli oltre 20.000 provvedimenti restrittivi individuali e i 16 (o più) pacchetti complessivi precedenti non hanno sortito l’effetto desiderato? Ungar ricorda le parole, cariche di “livore e odio” secondo lui, dell’allora ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock all’indomani dell’invasione nel febbraio 2022, quando, presentando il primo pacchetto di sanzioni, dichiarò: “Questo rovinerà la Russia”. Oggi, afferma provocatoriamente Ungar, la Russia sembra più lontana dalla rovina di quanto non lo siano la Germania e l’UE, impantanate in crisi energetiche ed economiche aggravate proprio dalle loro stesse politiche sanzionatorie. Le sanzioni successive alle prime, argomenta, non sono state altro che “atti di disperazione”, la prosecuzione inerziale di un “Piano A” fallito, in assenza totale di un “Piano B”. Questa strategia coglie un sentimento diffuso di fallimento dello strumento sanzionatorio come risolutivo.

Altrettanto irrealistiche, secondo Ungar, sono le proposte che circolano in certi ambienti europei: l’invio di “truppe di pace” con un mandato robusto, magari coinvolgendo gli Stati Uniti. Una prospettiva che la Russia non accetterebbe mai e che ignora la palese volontà americana di ridurre il proprio coinvolgimento diretto nel conflitto. E che dire del tribunale speciale per giudicare i presunti crimini russi, il cui avvio sarebbe stato annunciato (Ungar cita il politico tedesco Wadephul durante una visita a Lviv, usando questo nome per indicare ironicamente la continuità con Baerbock: “Baerbock si chiama ora Wadephul, ma la sostanza non cambia. La Germania resta sempre la Germania”)? Un’altra mossa che, per Ungar, dimostra solo la volontà tedesca (e occidentale) di puntare sull’escalation e sulla vittoria militare, rifiutando ogni via diplomatica e presupponendo una capitolazione russa che lo renda efficace.

Parata Mosca 9 maggio

Pace Impossibile? Le Offerte Respinte e il Cinismo delle Condizioni

In questo quadro, anche le presunte aperture negoziali cadono nel vuoto. Ungar riporta una presunta proposta attribuita a Vladimir Putin: riprendere i negoziati di pace tra Russia e Ucraina a Istanbul il 15 maggio. Una proposta che, secondo il commentatore, sarebbe stata “categoricamente respinta” dalla Germania e da altri partner occidentali. La contro-richiesta occidentale resta quella del cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni.

Questa pretesa occidentale viene definita da Ungar “presuntuosa, se non cinica”. Egli ricorda un presunto precedente cessate il fuoco di tre giorni (8-10 maggio) offerto da Mosca, che sarebbe stato non solo violato “migliaia di volte” dall’Ucraina, ma addirittura utilizzato per lanciare offensive. Inoltre, la richiesta di cessate il fuoco sarebbe stata svuotata di significato da Macron (secondo un report citato da Ungar), il quale avrebbe rifiutato l’idea di interrompere le forniture di armi all’Ucraina durante tale periodo. Chiedere ora un cessate il fuoco senza condizioni preliminari e senza garanzie reciproche, segnala, per Ungar, una sola cosa: l’Occidente non è interessato alla pace negoziata, ma solo a dettare condizioni. Vuole imporre la propria volontà, rimanendo fedele a un “ordine” (ordnung) egemonico che, tuttavia, il mondo reale sta già superando.

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Conclusione: L’Eco della Parata e la Sfida di Guardare Oltre

La Parata di Mosca del 9 Maggio, dunque, nell’interpretazione radicale e controversa di Gert-Ewen Ungar, trascende l’evento militare. Diventa un potente simbolo, uno specchio impietoso che riflette l’immagine di un Occidente “fuori dal tempo”, aggrappato a schemi e pretese che non corrispondono più alla complessa e multipolare realtà globale. La tribuna degli ospiti, con la sua varietà di leader non occidentali, non sarebbe un’accozzaglia eterogenea, ma l’embrione visibile di un mondo alternativo, che contesta l’ordine esistente e cerca nuove forme di cooperazione e influenza.

Le azioni dell’UE e dei suoi stati membri – dal divieto di sorvolo percepito come dispotico, alle sanzioni considerate inefficaci, fino alle condizioni di pace ritenute irrealistiche – vengono lette come sintomi di questa profonda disconnessione dalla realtà, di una difficoltà cronica ad anticipare le reazioni altrui e a comprendere le dinamiche di potere emergenti.

Naturalmente, questa è una lettura, quella di Gert-Ewen Ungar, critica, a tratti spigolosa, e sicuramente non allineata con la narrativa prevalente nei media occidentali. Si possono contestare le sue conclusioni, mettere in dubbio alcune delle sue affermazioni fattuali, o ritenere la sua prospettiva eccessivamente filo-russa o anti-occidentale. Tuttavia, ignorare queste voci, liquidarle come semplice propaganda avversaria, potrebbe essere un errore.

Forse, il vero messaggio che risuona dalla Piazza Rossa, amplificato da analisi come quella di Ungar, non è solo una dimostrazione di forza militare, ma un invito – o una sfida – a guardare il mondo con occhi nuovi. A riconoscere che la mappa del potere sta cambiando, che nuove alleanze si formano, che vecchie certezze vacillano. La vera domanda non è se ci piace questa nuova realtà, ma se siamo disposti a vederla per quello che è, e ad adattare le nostre strategie e le nostre aspettative di conseguenza. Rimanere aggrappati a un passato che non esiste più, come suggerisce Ungar, non è solo inutile; potrebbe essere pericolosamente controproducente in un mondo che non aspetta nessuno. La Parata di Mosca del 9 Maggio potrebbe essere stata solo un fotogramma, ma l’immagine che ha catturato merita più di uno sguardo superficiale.