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Immaginatevi la scena: un Paese, motore pulsante d’Europa, che arranca. L’economia non decolla, le prospettive si fanno cupe e aleggia un senso di stagnazione. In questi momenti, come un vecchio ritornello che riemerge da un grammofono impolverato, si fa strada un’idea apparentemente semplice, quasi lapalissiana: “Dobbiamo lavorare di più!”. E come si traduce, nel concreto, questo imperativo? Spesso, con la proposta di una riduzione delle festività in Germania. Un giorno in meno di riposo, un giorno in più sui luoghi di lavoro. Sulla carta, un aumento della produttività. Ma è davvero così? È questa la panacea per i mali dell’economia tedesca, o si tratta dell’ennesima illusione, di una “bacchetta magica” che nasconde problemi ben più profondi e complessi?

Recentemente, il dibattito si è riacceso con vigore sulla stampa tedesca, alimentato da interventi di economisti di spicco e da un coro di commenti da parte dei cittadini, che riflettono un misto di scetticismo, pragmatismo e, talvolta, pura frustrazione. Due voci autorevoli, quelle di Heiner Flassbeck e Marcel Fratzscher, hanno offerto analisi taglienti che smontano pezzo per pezzo la logica dietro questa proposta apparentemente innocua, rivelandone le fallacie e le potenziali conseguenze negative. Immergiamoci in questo dibattito, perché ciò che accade in Germania ha spesso eco, diretta o indiretta, anche nel resto d’Europa.

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Un Eco dal Passato: La “Kindergartenökonomik” che Ritorna

Heiner Flassbeck, noto per la sua visione critica e spesso controcorrente, non usa mezzi termini. In un suo recente articolo, bolla l’idea di aumentare le ore di lavoro individuali o tagliare le festività come “l’idea più vecchia del mondo – e la peggiore!”. Non è una novità, ci ricorda Flassbeck. Già nel 1993, l’allora Cancelliere Helmut Kohl lamentava le “troppe vacanze” e le “ore di lavoro troppo brevi” come un freno alla competitività. Sono passati oltre trent’anni, eppure sembra che il disco sia rimasto incantato sulla stessa traccia. Flassbeck la definisce, con un’espressione colorita ma efficace, “Kindergartenökonomik”, un’economia da asilo nido, che immagina il sistema economico come un semplice gioco di costruzioni: aggiungi un mattoncino (ore di lavoro) e tutto si sistema.

Ma la realtà, ammonisce l’economista, è ben diversa. Cosa cambierebbe davvero se ogni lavoratore con un impiego lavorasse dieci ore al giorno invece di otto, o se si eliminassero un paio di giorni festivi? La risposta, per Flassbeck, è desolante: poco o nulla, se non peggiorare la situazione. Il problema, oggi come allora per certi versi, non è una carenza di offerta di lavoro o di tempo lavorabile. Anzi. I dati parlano chiaro: ad aprile 2025, ci ricorda l’articolo, la Germania contava quasi tre milioni di disoccupati, quasi 200.000 in più rispetto all’anno precedente. Contemporaneamente, il numero di posti di lavoro vacanti era sceso di oltre 50.000, attestandosi a “ridicole” 650.000 unità, a fronte di una potenziale riserva di due milioni di persone in cerca di lavoro ma non registrate come disoccupate. Questi numeri non urlano “abbiamo bisogno di più lavoro”, ma semmai “abbiamo troppe persone senza lavoro”.

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Heiner Flassbeck

Tagliare le festività, in questo contesto, sarebbe, nella migliore delle ipotesi, un placebo. Nella peggiore, un taglio salariale mascherato, qualora si lavorassero effettivamente più ore per lo stesso stipendio complessivo. Ma è più probabile, sostiene Flassbeck, che in una situazione di domanda stagnante, le aziende semplicemente riducano le ore lavorate in altri giorni o diminuiscano gli straordinari. L’idea che si possa aumentare il volume totale di lavoro semplicemente estendendo il tempo lavorabile annuale è, per usare le sue parole, “non più adeguatamente descrivibile nemmeno come economia da asilo nido”.

La vera malattia, secondo Flassbeck, è la carenza cronica di domanda aggregata. E le politiche economiche tedesche, sia a livello nazionale che europeo (dove, a suo dire, una politica comune è “inesistente”), non fanno che aggravare il problema. Critica le richieste di austerity del Ministro delle Finanze SPD, le proposte “antiche” della Ministra del Lavoro, e la gestione dei fondi per le infrastrutture, dove la promessa “aggiuntività” si è rivelata una chimera, con fondi esistenti semplicemente dirottati. La Germania, conclude amaramente, si trova in una “cella d’isolamento auto-costruita”, incapace di vedere la realtà esterna e di prendere decisioni coraggiose.

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Sfatare i Miti: I Tedeschi Sono Davvero Diventati Pigri?

Dall’altra parte dello spettro analitico, ma con conclusioni sorprendentemente simili sull’inefficacia della riduzione delle festività, troviamo Marcel Fratzscher, presidente del prestigioso Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung (DIW). Nel suo intervento, Fratzscher affronta di petto un altro fantasma che aleggia nel dibattito: il presunto calo della “voglia di lavorare” dei tedeschi, soprattutto dei giovani.

“Un pettegolezzo che si tiene ostinatamente”, scrive, “anche se quasi nessuno lo dice apertamente”. Ma i fatti, sottolinea, dicono altro. Mai prima d’ora si è lavorato tanto in Germania come negli ultimi anni: oltre 63 miliardi di ore lavorate annualmente, un record. E con oltre 46 milioni di persone occupate, anche l’occupazione ha toccato livelli mai visti. Questo è dovuto principalmente all’immigrazione e a una crescente partecipazione femminile al mercato del lavoro. “I tedeschi quindi non sono pigri”, sentenzia Fratzscher. Semmai, sono aumentati i carichi di stress psicologico sul lavoro.

Detto questo, Fratzscher non nega la sfida del crescente fabbisogno di manodopera. Ma la soluzione, avverte, non risiede in misure simboliche come l’abolizione di un giorno festivo o nella detassazione generalizzata degli straordinari (che, come dimostra l’esperienza francese, genera più effetti di trascinamento e redistribuzione iniqua che un reale aumento delle ore lavorate). La chiave, per Fratzscher, è altrove, in quattro aree cruciali spesso trascurate.

Marcel Fratscher (DIW)

Il Tesoro Nascosto: Il Potenziale Femminile Inespresso

Il primo grande potenziale inutilizzato risiede nell’occupazione femminile. Sebbene sia aumentata, specialmente nella Germania Ovest, contribuendo al successo degli anni 2010, circa la metà delle donne occupate lavora part-time. La Germania ha uno dei tassi di part-time femminile più alti al mondo. E questo, sottolinea Fratzscher, non è per mancanza di volontà di lavorare di più. Molte donne in part-time dichiarano di voler aumentare le proprie ore. Gli ostacoli sono spesso strutturali: un gender pay gap tra i più alti d’Europa, minori opportunità di carriera, e una sovra-rappresentazione in settori cruciali ma spesso usuranti.

Poi c’è l’Ehegattensplitting, il sistema di tassazione congiunta dei coniugi, che, secondo Fratzscher, disincentiva il rientro a tempo pieno delle donne dopo la maternità, poiché una parte significativa del secondo reddito viene assorbita da tasse e contributi. Questo punto, va detto, è particolarmente dibattuto anche tra i lettori degli articoli. Nei commenti online, molti utenti contestano questa visione. C’è chi, come un utente firmatosi “buggub”, sostiene che “l’Ehegattensplitting è una necessità per la giustizia fiscale orizzontale, assicurando che matrimoni con lo stesso reddito complessivo siano tassati equamente”. Un altro, “Nikita Der Hund”, definisce l’argomento di Fratzscher “contrario a ogni logica”, chiedendosi: “Per quanto stupide il signor Fratzscher considera le mogli tedesche?”. Altri ancora, come “Der Maikäfer”, concordano con Fratzscher, vedendo nello splitting e nella proposta di detassare gli straordinari un incentivo al “modello del capofamiglia unico”, che relega le donne al lavoro di cura. È un dibattito complesso, che tocca nervi scoperti sull’equità fiscale e sul ruolo della donna nella società e nell’economia.

A ciò si aggiungono, secondo Fratzscher, le carenze strutturali nei servizi di assistenza all’infanzia (Kitas e scuole) e la diffusione dei “minijobs” (fino a 556 euro mensili, esentasse), che coinvolgono oltre sette milioni di persone, troppo spesso donne in piena età lavorativa anziché studenti o pensionati.

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Immigrazione e Integrazione: Un Investimento, non un Costo

Un secondo fattore chiave è una migliore integrazione dei 3,2 milioni di rifugiati già presenti nel Paese e una politica di immigrazione mirata. Invece di discutere di chiusura delle frontiere e tagli ai sussidi, Fratzscher invoca investimenti nell’integrazione: riconoscimento delle qualifiche, corsi di lingua, alloggi. “Solo così questo gruppo potrà essere integrato più rapidamente nel mercato del lavoro e nella società”, e questo richiede più, non meno, investimenti. La Germania, per far fronte al fabbisogno, necessita di un’immigrazione netta di circa 400.000 lavoratori all’anno.

Rapporto tra Tedeschi e Stranieri in Germania

Istruzione e Formazione: Nessuno Deve Rimanere Indietro

Terzo pilastro: investimenti massicci in istruzione e formazione. Ogni anno, circa 50.000 giovani lasciano la scuola senza diploma, e ancor di più non conseguono una qualifica professionale. Per molti, è l’anticamera della disoccupazione e dei problemi di salute. Circa 1,7 milioni di persone in Germania sono considerate teoricamente abili al lavoro ma rimangono disoccupate a lungo. Non è pigrizia, insiste Fratzscher, ma mancanza di opportunità, qualifiche inadeguate e limitazioni di salute. Nei commenti, un utente, “think-different”, apprezza questo punto, sottolineando come il problema inizi ancor prima della scuola e richiamando una precedente colonna di Fratzscher sulla necessità di una “Kita-Pflicht” (obbligo di asilo nido) per favorire l’apprendimento della lingua, cruciale per i bambini non madrelingua tedesca. Propone anche una rivalutazione dei percorsi formativi non accademici.

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Le Imprese al Centro del Cambiamento: Qualità Contro Quantità

Infine, Fratzscher chiama in causa le imprese. Il problema non è la scarsa volontà di lavorare, ma una debole crescita della produttività. Molte aziende, negli ultimi due decenni, hanno investito troppo poco in qualificazione del personale, digitalizzazione e nuove tecnologie. Invece di puntare il dito contro la politica, dovrebbero agire: promuovere i dipendenti, snellire i processi, adottare metodi di lavoro moderni. “Chi insiste solo sulla disponibilità alla prestazione e chiede straordinari, perde i giovani motivati”. Il mercato del lavoro è cambiato: oggi sono le aziende a doversi rendere attraenti per i lavoratori, non viceversa.

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Le Voci dal “Paese Reale”: Quando la Logica si Scontra con la Realtà

Tornando ai commenti dei lettori, emerge uno spaccato interessante del “sentire comune”. Oltre al già citato dibattito sull’Ehegattensplitting, colpisce l’osservazione di un utente: “Se l’argomentazione di chi vuole tagliare le festività fosse corretta, la Baviera dovrebbe essere il fanalino di coda economico della Germania. Hanno il maggior numero di giorni festivi. Non è vero, signor Söder?”. Un’argomentazione semplice, quasi banale, ma che mette in luce l’incongruenza di certe proposte.

Ancora più toccante, e pragmaticamente brutale, è il commento di un altro lettore: “È una tale stupidaggine. Le aziende non hanno ordini. Proprio l’altro giorno il mio vicino è stato licenziato (il suo lavoro ora lo fa un subappaltatore da un paese dell’Est Europa). Una grande azienda qui nella regione ha appena annunciato che il lavoro a orario ridotto (Kurzarbeit) durerà almeno fino all’autunno… e la soluzione ovunque è: la gente deve lavorare di più. È una sciocchezza bella e buona”. Questo commento, nella sua crudezza, smaschera l’assurdità di chiedere più ore di lavoro quando il lavoro stesso scarseggia o viene delocalizzato. È il grido di chi vive sulla propria pelle le contraddizioni di un sistema che sembra aver perso la bussola.

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Oltre la Riduzione delle Festività: La Necessità di una Visione Strategica

Entrambi gli economisti, Flassbeck con la sua critica macroeconomica e Fratzscher con il suo focus sulle riforme strutturali del mercato del lavoro, convergono su un punto fondamentale: la riduzione delle festività in Germania è una non-soluzione, una distrazione pericolosa dai veri problemi.

Flassbeck va oltre, mettendo in discussione l’intera impalcatura della politica economica tedesca. Ricorda come gli attuali piani di risparmio del governo rischino di dare un ulteriore colpo alla congiuntura, e come la promessa di “miliardi aggiuntivi” per le infrastrutture sia stata svuotata da formulazioni legislative che ne annullano l’efficacia, permettendo di sostituire investimenti già previsti con fondi del nuovo programma. “Si è fatto esattamente ciò di cui molti avevano avvertito”, scrive, ovvero si tagliano fondi ordinari per sostituirli con quelli del fondo infrastrutturale, senza un reale aumento netto della spesa. L’economia tedesca, sottolinea, si regge pericolosamente sulla politica espansiva, seppur tardiva, della BCE e sugli enormi surplus commerciali con partner come USA e Francia, che “sopportano” alti deficit.

La Germania, sembra dire Flassbeck, vive in una bolla, viaggiando fisicamente per il mondo per “belle foto” ma rimanendo “mentalmente in isolamento”, timorosa che gli altri si accorgano che “non c’è nulla che valga la pena discutere”.

Un Appello alla Ragione: Più Complessità, Meno Slogan

Il dibattito sulla riduzione delle festività in Germania è, in definitiva, emblematico di una tentazione ricorrente: quella di cercare soluzioni facili a problemi complessi. È più semplice invocare più ore di lavoro che affrontare le disuguaglianze di genere, riformare il sistema fiscale, investire seriamente nell’istruzione e nell’integrazione, o spingere le imprese verso una vera innovazione.

Ma come ci insegnano le analisi di Flassbeck e Fratzscher, e come riecheggia nelle voci dei cittadini, queste scorciatoie non portano lontano. Anzi, rischiano di aggravare le tensioni sociali e di minare ulteriormente la fiducia nelle istituzioni. Non è demonizzando il tempo libero o invocando sacrifici indiscriminati che si costruisce un futuro prospero e equo.

Serve, invece, una diagnosi accurata dei problemi – che, come abbiamo visto, sono molteplici e interconnessi, dalla carenza di domanda aggregata alle rigidità strutturali del mercato del lavoro. E servono politiche coraggiose, lungimiranti, capaci di mobilitare tutte le risorse del Paese, a partire da quelle, enormi e spesso sottoutilizzate, delle donne, degli immigrati, dei giovani in cerca di qualifiche e opportunità.

La Germania, e con essa l’Europa, si trova a un bivio. Può continuare a inseguire i fantasmi del passato, con ricette vecchie e inefficaci, oppure può scegliere la strada, più ardua ma più promettente, delle riforme strutturali, dell’innovazione e dell’inclusione. La risposta non è lavorare di più, ma lavorare meglio, in un sistema che valorizzi il contributo di tutti e distribuisca più equamente i frutti della crescita. Ridurre le festività? Lasciamo questa “bacchetta magica” nel cassetto delle illusioni e concentriamoci sulle sfide reali. Il benessere di una nazione non si misura solo in ore lavorate, ma nella qualità della vita dei suoi cittadini, nella coesione sociale e nelle opportunità offerte a ciascuno.


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