Aprile 2025. L’aria in Germania è densa di aspettative, o forse è solo la pesantezza di un déjà vu politico. Sul tavolo c’è un nuovo accordo di coalizione Germania, frutto di notti insonni e trattative estenuanti, almeno stando alle dichiarazioni ufficiali. Promette un nuovo inizio, un cambio di passo per una nazione che, secondo lo stesso accordo, sente la vita diventare “più complicata, costosa e faticosa”. Ma c’è una voce fuori dal coro, quella autorevole e spesso scomoda dell’economista Heiner Flassbeck, che getta una luce impietosa su questo tomo di 144 pagine. E la sua diagnosi è tagliente come un bisturi: non un documento di svolta, ma un “documento di smarrimento”.

Preparatevi, perché l’analisi di Heiner Flassbeck non è una carezza. È uno schiaffo alla narrazione ufficiale, un invito a guardare oltre la facciata rassicurante di un accordo che, secondo lui, brilla per i dettagli ma inciampa clamorosamente sulla visione strategica. Stiamo davvero assistendo a una svolta o solo all’ennesima mano di vernice fresca su un motore che arranca? Seguitemi in questa disamina, ispirata dalle parole di Flassbeck, per capire se il gigante tedesco ha davvero imboccato una nuova strada o se sta solo girando in tondo.
Il Paradosso delle 144 Pagine: Dettagli Infiniti, Orizzonti Scomparsi
Immaginate la scena: Heiner Flassbeck, economista di lungo corso, si mette con pazienza a leggere l’intero accordo di coalizione Germania. Pagina dopo pagina, per 144 volte. E cosa scopre? Un’attenzione quasi maniacale ai dettagli. L’accordo, ci dice Flassbeck, arriva a toccare punti specifici come la “solitudine” o addirittura una “offensiva per gli allenatori”. Argomenti senza dubbio importanti a livello micro, ma la sua sorpresa, quasi uno sconcerto, emerge quando cerca il quadro generale. Dov’è la riflessione sulle sfide strategiche che la Germania e l’Europa hanno di fronte? Semplicemente, non c’è.

È come avere una mappa stradale dettagliatissima di un singolo quartiere, ma nessuna idea di quale sia la destinazione finale del viaggio, né quali siano le condizioni delle autostrade principali. Flassbeck non usa mezzi termini: la stessa preambolo dell’accordo è liquidata come “un insieme di platitudini che difficilmente potrebbero essere superate”. Parole dure, che preparano il terreno alla critica più feroce, quella rivolta alla sezione economica.
Qui, l’accordo identifica correttamente una “persistente debolezza della crescita”. Ma la spiegazione? Secondo il testo ufficiale, citato da Flassbeck, sembra quasi che la colpa sia del fatto che “la vita in Germania è diventata più complicata, costosa e faticosa”. Una diagnosi che Flassbeck definisce “meno che niente”, non solo superficiale, ma “semplicemente l’espressione di un vuoto”. Il suo giudizio è netto: “Apparentemente, in tutto il processo non era presente da nessuna parte una minima competenza economica”. Un’accusa pesantissima, che mette in discussione le fondamenta stesse dell’impianto programmatico del nuovo governo. Ma come si arriva a un risultato del genere? Flassbeck ci offre uno spaccato illuminante, quasi cinico, del processo stesso.

Dietro le Quinte dell’Accordo: Come Nasce un Gigante dai Piedi d’Argilla
Il cittadino comune, osserva Heiner Flassbeck, vede solo i leader politici che si presentano ai microfoni, stanchi ma soddisfatti, raccontando le fatiche delle trattative. La realtà, però, è molto meno eroica e molto più burocratica. Flassbeck svela il meccanismo: all’inizio delle negoziazioni, “schiere di funzionari in tutti i ministeri ricevono l’incarico di annotare tutti i punti importanti per il rispettivo ministero”, tenendo conto dei programmi dei partiti coinvolti. Immaginate fiumi di documenti, elenchi sterminati che coprono ogni possibile anfratto dell’azione di governo.
Questo spiega, secondo Flassbeck, perché poi ci si ritrova con capitoli su temi ultra-specifici. È il risultato di un processo additivo, quasi meccanico. Una volta creato questo “conglomerato” a livello di funzionari, passa ai negoziatori dei partiti, che limano le formulazioni frase per frase, cercando un compromesso lessicale che accontenti tutti. Solo alla fine, i vertici mettono mano ai punti davvero spinosi.
Sembra un processo ordinato, quasi inevitabile. Ma Heiner Flassbeck individua qui la falla fatale: “In tutto questo processo, normalmente non si tenta nemmeno una volta di affrontare alcune questioni fondamentali e formulare una strategia adeguata”. Non c’è mai un momento iniziale in cui si chiede a poche menti brillanti di dimenticare le “minuzie ministeriali” e di analizzare le vere sfide europee e globali, valutando le reali opzioni di un governo tedesco. Il risultato? Secondo Flassbeck, è il solito “business as usual tedesco con una sottile mano di vernice nuova”. Un’operazione di facciata che maschera l’incapacità di affrontare i nodi cruciali. E quali sarebbero questi nodi ignorati?

Gli Elefanti nella Stanza: Le Grandi Domande Dimenticate dall’Accordo
Mentre l’accordo si perdeva nei dettagli, Heiner Flassbeck elenca le domande che un governo con ambizioni strategiche avrebbe dovuto porsi. Innanzitutto, la persistente debolezza della crescita europea: siamo sicuri che le istituzioni UE siano configurate in modo ottimale per promuovere sviluppo e benessere? E che dire della Banca Centrale Europea? È ancora sostenibile la sua focalizzazione quasi esclusiva sulla stabilità dei prezzi? Non dovrebbe, come la Federal Reserve americana, avere un mandato esplicito anche sull’occupazione?
Flassbeck continua implacabile: ha ancora senso il Patto di Stabilità europeo, così come lo conosciamo, specialmente se la stessa Germania sembra discostarsi dai suoi principi originari? E, alla luce delle tensioni transatlantiche e delle politiche protezionistiche, è ancora sensata e promettente la storica ossessione tedesca (ed europea) per la “competitività”?
Ma lo sguardo di Flassbeck si allarga ulteriormente. Un governo che mette l’economia al primo posto non avrebbe dovuto considerare il quadro globale? Il ruolo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), quello del Fondo Monetario Internazionale (FMI), la palese assenza di un ordine monetario globale funzionante, l’importanza strategica della Cina, il ruolo dei paesi in via di sviluppo. Questioni epocali, totalmente assenti dal dibattito che ha prodotto l’accordo, stando alla sua analisi. Invece di questo ampio respiro, cosa troviamo? Il ritorno al “piccolo-piccolo”, al dettaglio insignificante rispetto alle vere poste in gioco. E la critica si fa ancora più specifica quando Flassbeck analizza il mantra della politica economica tedesca.

Il Mantra “Grottesco” della Competitività e la Grande Contraddizione Tedesca
Heiner Flassbeck racconta di aver visto il leader politico Merz (presumibilmente coinvolto nell’accordo) iniziare i suoi discorsi ponendo l’accento sul miglioramento della “competitività di prezzo” dell’economia tedesca. Una priorità che Flassbeck definisce senza mezzi termini “grottesca”. Grottesca perché, secondo lui, dimostra una profonda incomprensione delle dinamiche internazionali attuali. Sembra che né Merz né il suo entourage capiscano veramente perché gli Stati Uniti stiano mettendo sotto pressione il commercio internazionale, criticando proprio la Germania.
Flassbeck ricorda le prove di questa pressione: il factsheet presidenziale USA che accusa (giustamente, secondo lui) la Germania di dumping salariale, i “Currency Reports” dell’amministrazione americana che criticano Berlino, e un nuovo report che elenca minuziosamente tutte le barriere commerciali che gli USA si trovano di fronte. Chi vuole guidare la Germania fuori dalle difficoltà attuali, ammonisce Flassbeck, “deve ampliare il proprio sguardo”.
Qui arriva uno degli insight più potenti dell’analisi di Heiner Flassbeck: egli sostiene che se negli ultimi 20 anni fosse esistita un’istituzione globale forte, capace di far rispettare regole sensate per l’ordine economico mondiale, “la Germania, con la sua politica basata sull’avanzo delle esportazioni, non sarebbe mai riuscita a farla franca”. Non ci sarebbe stato bisogno delle mosse “spasmodiche” e bilaterali di un Trump per cercare di ridurre i deficit americani. Serve un ordine monetario che completi quello commerciale per permettere scambi equi.

Ed ecco la contraddizione centrale, il nervo scoperto della politica tedesca secondo Heiner Flassbeck: “Il fatto che la Germania affermi in ogni occasione di battersi per un ordine basato sulle regole, ma calpesti quotidianamente essa stessa regole sensate di cooperazione internazionale, è la contraddizione decisiva nella politica tedesca”. Un’accusa pesantissima: predicare bene e razzolare male, su scala globale.
Il Verdetto Finale di Flassbeck: Un Accordo che Non Vale la Carta su Cui è Scritto
Arrivati a questo punto, la conclusione di Heiner Flassbeck è quasi scontata, ma non per questo meno scioccante nella sua nettezza. Un accordo di coalizione Germania che ignora completamente queste dinamiche globali, queste contraddizioni fondamentali, queste sfide strategiche, “non vale la carta su cui è stato scritto”. Parole che pesano come macigni.
L’errore fatale, secondo l’economista, è stato quello di “impiegare funzionari con le minuzie, invece di chiedere a persone che sanno qualcosa delle condizioni di questo mondo e non si tirano indietro di fronte a una critica alla Germania”. C’era bisogno di pensiero critico, di visione ampia, non di compilatori di elenchi.

L’avvertimento finale è un monito per il nuovo governo tedesco, ma risuona ben oltre i confini della Germania: “Chi continua come prima, pur affermando di osare un nuovo inizio, fallirà miseramente come i suoi predecessori”. Non basta dichiarare il cambiamento; bisogna avere il coraggio di affrontare le vere questioni, anche quelle scomode, quelle che mettono in discussione le certezze nazionali e le pratiche consolidate.
L’analisi di Heiner Flassbeck ci lascia con molti interrogativi. Questo accordo di coalizione Germania, presentato come un passo avanti, è davvero solo l’ombra di se stesso? Un gigante burocratico senza anima strategica? La critica di Flassbeck è certamente dura, forse parziale, ma pone domande fondamentali che meritano una riflessione profonda, non solo a Berlino, ma in tutte le capitali europee che guardano alla Germania come motore e guida. Il rischio, suggerisce Flassbeck, è quello di continuare a lucidare l’argenteria mentre la casa sta prendendo fuoco. E forse, ascoltare le voci critiche, anche le più sferzanti, è il primo passo per accorgersi del fumo.