L’eco lontana di cannoni e il fruscio di nuove commesse militari sembrano aver risvegliato un antico dibattito nel cuore dell’Europa, e in particolare in Germania. Mentre le tensioni geopolitiche ridisegnano le priorità, una formula economica dal sapore vintage, ma con implicazioni profondamente moderne, si fa strada nelle cancellerie e sui media: il Keynesismo degli armamenti Germania. L’idea, apparentemente semplice, è quella di utilizzare la massiccia spesa pubblica per la difesa come volano per la crescita, un po’ come un tempo si pensava di stimolare l’economia costruendo autostrade o ospedali. Ma è davvero così? O stiamo per assistere a un pericoloso déja-vu, dove la ricerca di sicurezza immediata sacrifica la prosperità a lungo termine? Due analisi penetranti, pubblicate di recente sulla stampa tedesca – una a firma di Wolfgang Edelmüller su MAKROSKOP e l’altra di Lucas Zeise su junge Welt, entrambe curiosamente proiettate su un futuro prossimo, maggio 2025 – gettano ombre inquietanti su questa strategia, invitandoci a una riflessione profonda e urgente.

Il Ritorno di un Fantasma Economico: Cos’è il “Keynesismo degli Armamenti”?
Per chi non ha familiarità con il gergo economico, il “Keynesismo” prende il nome dal celebre economista John Maynard Keynes, il quale sosteneva che, in tempi di crisi, lo Stato dovesse intervenire con la spesa pubblica per sostenere la domanda e l’occupazione. Il Keynesismo degli armamenti è una sua declinazione specifica: lo stimolo economico arriva pompando denaro nel settore della difesa. Come sottolinea Lucas Zeise su junge Welt, citando il biografo di Keynes, Robert Skidelsky, questo tipo di keynesismo “è più antico del keynesismo civile e comune”. Anzi, Skidelsky arriva ad affermare che “la politica keynesiana è nata in guerra, non in pace”, ricordando come il riarmo e i conflitti abbiano eliminato la disoccupazione negli Stati Uniti e in Gran Bretagna durante la Seconda Guerra Mondiale, con tassi di crescita annui stratosferici. Persino il boom del dopoguerra, osserva Zeise, fu in parte un “keynesismo militare”, con le spese per la difesa che negli USA tra il 1950 e il 1970 costituivano metà del bilancio federale.
La seduzione è evidente: di fronte a una minaccia esterna percepita, come l’attuale conflitto russo-ucraino, aumentare la spesa militare sembra una risposta logica. E se questo, come effetto collaterale, crea posti di lavoro nelle industrie belliche, stimola l’innovazione tecnologica in quel settore e fa girare l’economia, tanto meglio, no? È una narrazione che, come nota Zeise, trova terreno fertile tra i “conservatori”, spesso restii al keynesismo tradizionale ma più inclini ad accettarlo quando veste l’uniforme.

La Germania al Bivio: Il Riarmo Sotto la Lente Critica di Zeise
Lucas Zeise, nel suo articolo per junge Welt, dipinge un quadro specifico della situazione tedesca (o meglio, di come potrebbe evolversi). Immagina un governo guidato dal conservatore Merz, con il socialdemocratico Lars Klingbeil come Ministro delle Finanze. In questo scenario, la sospensione del “freno al debito” (Schuldenbremse), quel meccanismo costituzionale tedesco che limita l’indebitamento pubblico, avverrebbe espressamente per finanziare il riarmo. Zeise riporta le dichiarazioni di un ipotetico Ministro degli Esteri, Johann Wadephul (CDU), che perorerebbe spese militari pari al 5% del Prodotto Interno Lordo, anche per compiacere le richieste di un potenziale ritorno di Trump alla presidenza USA.
Klingbeil, pur definendosi “Ministro degli Investimenti”, secondo Zeise, sarebbe vago sui progetti infrastrutturali civili da finanziare con un corposo fondo speciale da 500 miliardi di euro. Questi investimenti, cruciali per la transizione ecologica, la digitalizzazione o l’ammodernamento delle infrastrutture, rimarrebbero “sotto riserva di finanziamento”. Nel frattempo, denuncia Zeise, l’unico vero “booster” per gli investimenti sarebbe una misura fiscale – la possibilità per le imprese di dedurre il 30% degli investimenti effettuati – che, data la congiuntura, andrebbe a beneficio quasi esclusivo dell’espansione della capacità produttiva nel settore degli armamenti. “Siamo arrivati al keynesismo militare pre-keynesiano, tollerato dai ‘conservatori’ e depurato da elementi civili”, è la sua amara conclusione. Non si userebbe nemmeno la retorica keynesiana per vendere queste politiche; il riarmo sarebbe presentato come un valore in sé.

L’Analisi di Edelmüller: Le Trappole Nascoste della Spesa Militare su MAKROSKOP
Se Zeise si concentra sul “come” politico, Wolfgang Edelmüller, su MAKROSKOP, scava più a fondo nelle conseguenze economiche strutturali di un simile approccio, offrendo una critica tagliente al Keynesismo degli armamenti Germania e, più in generale, europeo. Il suo punto di partenza è una lucida osservazione di Oliver Picek, capo economista del Momentum Institut di Vienna: un nuovo keynesismo degli armamenti europeo difficilmente potrà dispiegare effetti significativi finché l’Unione Europea manterrà le sue rigide regole fiscali orientate all’austerità, incardinate nel Patto di Stabilità e Crescita. La tanto sbandierata “sovranità europea”, in questo contesto, resterebbe un miraggio.
Ma il problema, per Edelmüller, è ancora più radicale e riguarda la natura stessa dei beni prodotti. Citando il socio-economista Günther Grunert, ricorda che i beni militari sono “beni d’investimento non riproduttivi”. Cosa significa? Edelmüller lo illustra con un esempio cristallino: il paragone tra un carro armato e una locomotiva. Entrambi richiedono risorse simili per la loro produzione (materie prime, tecnologia, manodopera qualificata). Ma il carro armato, una volta uscito dalla fabbrica, finisce in un arsenale, venendo usato solo per esercitazioni o, nel peggiore dei casi, in guerra. Non contribuisce ulteriormente alla produzione di altri beni o servizi che aumentino il benessere collettivo.
La locomotiva, al contrario, è un elemento cruciale dell’infrastruttura dei trasporti. Serve a muovere persone e merci, ed è indispensabile per l’intera economia. Il suo valore (e il costo della sua sostituzione) si riflette nei prezzi dei servizi di trasporto, contribuendo al ciclo produttivo generale. Certo, si potrebbe obiettare che il carro armato contribuisce alla sicurezza, pre-condizione per qualsiasi attività economica. Edelmüller non lo nega, ma suggerisce che la sicurezza esterna potrebbe essere garantita anche attraverso la cooperazione e la costruzione di una pace collettiva, invece che attraverso la “bellicosità” permanente. Meno carri armati e più locomotive, con lo stesso impiego di risorse, significherebbero più benessere. È il vecchio adagio “trasformare le spade in vomeri”, che ha una sua profonda validità economica. Si parla, in questo caso, di “dividendo della pace”, i cui benefici, però, spesso non vengono distribuiti equamente, lasciando a bocca asciutta le fasce più deboli della popolazione, specialmente sotto regimi di distribuzione neoliberisti.

L’Inflazione da Riarmo e il “Risparmio Forzato”
Una delle conseguenze più insidiose della riconversione delle risorse verso la produzione militare, sottolineata da Edelmüller, è l’inflazione. Quando si producono armi, si generano redditi (salari per gli operai, profitti per le imprese) che si traducono in domanda di beni e servizi civili. Tuttavia, poiché le risorse (lavoro, capitali, materie prime) sono state dirottate verso il settore militare, l’offerta di beni di consumo e di investimento civile non aumenta di pari passo, anzi, potrebbe addirittura contrarsi. Si crea così un eccesso di domanda (“Übernachfrage”) che spinge i prezzi al rialzo.
Questa “inflazione da riarmo” finisce per colmare il divario tra domanda e offerta riducendo il potere d’acquisto reale della popolazione, specialmente quella lavoratrice. Per evitare spirali inflazionistiche incontrollate, si potrebbero adottare misure fiscali, come una sorta di “Soli per il riarmo” (un’imposta di solidarietà specifica). In ogni caso, il conto del riarmo viene pagato dalla popolazione civile, o attraverso prezzi più alti o attraverso tasse più elevate. Edelmüller ricorda come Keynes stesso, nel suo pamphlet del 1940 “How to Pay for the War”, avesse proposto il concetto di “risparmio forzato”: l’eccesso di domanda doveva essere assorbito attraverso una specie di prestito obbligatorio, che si sarebbe trasformato in un credito verso lo Stato da riscuotere a fine guerra, stimolando così la domanda in una fase post-bellica potenzialmente recessiva. Questo “consumo differito” sarebbe stato finanziato, in ultima analisi, dalla banca centrale.

L’Ombra Austera dell’Europa: Patto di Stabilità e “Regole d’Oro” Selettive
Il quadro si complica ulteriormente se si considera il contesto delle regole fiscali europee. Edelmüller critica aspramente quella che definisce una “Regola d’Oro per gli Armamenti” non accompagnata da una “Regola d’Oro per gli Investimenti” civili. Mentre si preannunciano facilitazioni per le spese militari (come il piano “ReArm Europe” da 800 miliardi di euro, finanziato in parte tramite deroghe nazionali al Patto di Stabilità e Crescita), non si vedono misure analoghe per investimenti pubblici in infrastrutture, istruzione, sanità, transizione ecologica, ricerca e sviluppo. Questi ultimi, come invocato da Oliver Picek, sarebbero fondamentali per raggiungere piena occupazione, stabilità dei prezzi e un mercato interno rafforzato dal welfare.
La recente esperienza con la pandemia e la crisi energetica ha mostrato come la sospensione temporanea delle regole del Patto (la “clausola di salvaguardia generale”) e programmi come il Next Generation EU (NGEU) – seppur con tutti i suoi limiti e le sue contorsioni burocratiche per “sedare la nevrosi tedesca sulla stabilità”, come scrive icasticamente Edelmüller – abbiano permesso agli Stati membri di attutire gli shock. Ora, però, mentre la clausola generale è stata disattivata, si profila una sorta di eccezione permanente per le spese militari. Si rischia così di cadere nella trappola “cannoni invece di burro”, con conseguenze potenzialmente devastanti per la coesione sociale e la democrazia. Proprio mentre si chiede ai Paesi (inclusa la Francia e, come analizzato da Edelmüller, l’Austria post-crisi) di rientrare nei parametri di Maastricht attraverso procedure per disavanzo eccessivo, si spalancherebbero le porte alla spesa militare.
Edelmüller porta l’esempio dell’Austria, dove un precedente governo “sprecone” ha gettato il paese nella recessione, costringendo la nuova coalizione, pur con un Ministro delle Finanze post-keynesiano come Markus Marterbauer, a un rigoroso programma di austerità. Un monito per chi pensa che la spesa pubblica, anche quella militare, non abbia conseguenze sui bilanci e sulla vita dei cittadini.

Dividendi di Pace Perduti e il Costo Sociale del Riarmo Tedesco
Il Keynesismo degli armamenti Germania non è solo una questione di conti pubblici o di tassi di crescita. È una questione di priorità, di visione del futuro. Le risorse sono finite. Ogni euro speso in un cacciabombardiere è un euro non speso in un asilo nido, in una borsa di studio, in una turbina eolica o in un letto d’ospedale. È il “dividendo della pace” che viene sacrificato sull’altare di una sicurezza intesa prevalentemente in termini militari.
Questa scelta ha un costo sociale enorme. La concentrazione di risorse e talenti nel settore bellico può portare a una dequalificazione o a una carenza di manodopera in settori civili cruciali. Può esacerbare le disuguaglianze, se i benefici del boom militare si concentrano in poche mani o in specifiche regioni, mentre il resto della popolazione subisce l’inflazione e i tagli al welfare. Come ci insegnano le analisi di Edelmüller e Zeise, il rischio è quello di una società più militarizzata, meno equa e, paradossalmente, meno sicura nel senso più ampio del termine, perché una vera sicurezza si fonda anche sulla coesione sociale, sulla giustizia economica e sulla salute democratica.

Oltre l’Emergenza: Serve una Visione per una Prosperità Condivisa
La critica al Keynesismo degli armamenti Germania non implica un disinteresse per la sicurezza nazionale o europea. Significa piuttosto interrogarsi se questa sia la via più efficace e sostenibile. Come suggerito da Picek e ripreso da Edelmüller, una vera “sovranità europea” non può fondarsi solo sulla potenza militare, ma deve poggiare su un’economia robusta, innovativa e inclusiva, capace di affrontare le grandi sfide del nostro tempo, dalla crisi climatica alle disuguaglianze.
Forse, invece di un “Rüstungssoli”, servirebbe un “Zukunftssoli”, un’imposta per finanziare il futuro, gli investimenti verdi, la ricerca, l’istruzione. Forse, accanto a una “Regola d’Oro per gli Armamenti” (se proprio inevitabile), è indispensabile e prioritaria una “Regola d’Oro per gli Investimenti” pubblici produttivi, che creino valore duraturo per l’intera collettività.

La Scelta Tedesca e il Futuro dell’Europa: Più Cannoni o Più Burro?
La Germania, con il suo peso economico e politico, si trova di fronte a una scelta cruciale che avrà ripercussioni sull’intera Europa. La strada del Keynesismo degli armamenti, pur potendo offrire l’illusione di una rapida soluzione a problemi di sicurezza e di crescita, rischia di essere un sentiero lastricato di insidie economiche e sociali. Le voci critiche di analisti come Wolfgang Edelmüller e Lucas Zeise, dalle pagine di MAKROSKOP e junge Welt, ci mettono in guardia: la corsa al riarmo, se non bilanciata da una strategia altrettanto vigorosa per lo sviluppo civile e il benessere sociale, potrebbe portare a una crescita effimera, a un aumento dell’inflazione che erode il potere d’acquisto dei più, e a una società più divisa e meno resiliente.
Il dibattito è aperto, e la posta in gioco è altissima. Si tratta di decidere se vogliamo un futuro in cui la priorità sono i “cannoni” o il “burro” – o meglio, se vogliamo trovare un equilibrio intelligente che garantisca sicurezza senza sacrificare la prosperità e la giustizia sociale per le generazioni presenti e future. Le loro analisi, proiettate in un futuro così prossimo, suonano come un monito urgente: le decisioni di oggi plasmeranno la Germania e l’Europa di domani. E sbagliare mira potrebbe costare molto caro.