Siamo onesti: quante volte abbiamo sentito la storia? Quella del bel mondo antico del commercio internazionale, un’epoca dorata di scambi pacifici e armoniosi tra nazioni sorelle, dove tutti prosperavano in un idillio globale. Un paradiso perduto, brutalmente infranto dall’arrivo di un “cattivo” – tipicamente identificato in Donald Trump – che ha deciso, di punto in bianco, di trasformare questo elegante balletto diplomatico in un rozzo incontro di boxe. Un racconto rassicurante, quasi commovente, vero? Peccato che, secondo l’acuto economista tedesco Heiner Flassbeck, sia una colossale sciocchezza.

Immaginate la scena: siete nel salotto buono del dibattito pubblico, magari durante un talk show autorevole come il Presseclub della ARD tedesca. Un giornalista di spicco, Michael Sauga de Der Spiegel, dipinge proprio questo quadro idilliaco. Il commercio era pace, armonia, un legame che univa i popoli. Poi è arrivato Trump, il guastafeste, a rovinare tutto con i suoi modi da attaccabrighe, mettendo a rischio il carattere “pacificatore” dello scambio. Suona bene, no? Rassicurante.
Ma è qui che entra in gioco Heiner Flassbeck. Con la sua tipica irriverenza intellettuale e una profonda conoscenza dei meccanismi economici reali, Flassbeck non ci sta. Sente questa narrazione e, possiamo immaginarlo, scuote la testa con un misto di incredulità e irritazione. Pacifico? Armonioso? “Più che fantastico, è temerario o sfacciato, a seconda dei punti di vista!” tuona Flassbeck nel suo commento che stiamo analizzando.
Questo articolo non è una difesa di Trump. È un invito, guidato dall’analisi spietata di Heiner Flassbeck, a toglierci le fette di salame dagli occhi. È un viaggio nella storia non raccontata del commercio internazionale, quella fatta di competizione sfrenata tra nazioni (la famosa Wettbewerb der Nationen), di strategie predatorie, di vincitori e vinti, di crisi devastanti e di politiche nazionali tutt’altro che “armoniche”. Preparati a scoprire perché, secondo Flassbeck, il ring della boxe commerciale era già affollato ben prima che Trump decidesse di indossare i guantoni. E perché la Germania, in particolare, ha giocato un ruolo da protagonista in questa “gara” per decenni, spesso a spese dei suoi partner. Allaccia le cinture, si parte.

Demistificare l’Idea dello “Scambio Pacifico”: La Realtà Secondo Flassbeck
Il cuore dell’argomentazione di Flassbeck è un attacco frontale all’idea stessa che il commercio internazionale, nella sua essenza pre-Trump, fosse un’attività intrinsecamente pacifica e benefica per tutti. Questa visione, per lui, ignora completamente la natura fondamentale del sistema capitalistico globale: la competizione.
Flassbeck ci ricorda brutalmente che la “competizione tra nazioni“, la “competizione per la localizzazione” (la corsa ad attrarre investimenti e industrie, spesso abbassando standard sociali o ambientali), e più in generale la “gara tra nazioni“, non sono invenzioni recenti. Sono dinamiche che hanno segnato profondamente la storia economica moderna. E le conseguenze? Tutt’altro che pacifiche. Flassbeck è lapidario: questa competizione “ha già mandato in rovina interi paesi, ha causato innumerevoli crisi, ha significato povertà, disperazione e fame per le persone nei paesi colpiti”.

Sentire parlare di “scambio pacifico” in questo contesto, per Flassbeck, è come descrivere una battaglia navale come una tranquilla gita in barca. È un’offesa all’intelligenza e alla memoria storica.
E l’idea che un paese possa migliorare la propria “competitività” senza danneggiare nessun altro? Flassbeck la liquida con sarcasmo tagliente. Prende di mira la narrazione secondo cui l’Europa (e in particolare la Germania), concentrata dall’inizio del secolo sul miglioramento ossessivo della propria competitività, non l’abbia fatto a spese di altre nazioni. Come se fosse possibile, suggerisce ironicamente, che tutti migliorino contemporaneamente la propria posizione relativa, “spegnendo completamente il cervello e lasciando parlare solo il cuore“.
La realtà, insiste Flassbeck, è ben diversa. Nel commercio internazionale, come in molte arene competitive, ci sono vantaggi che uno ottiene a scapito dell’altro. Si parla tanto di surplus commerciali, ma ci si dimentica (o si finge di dimenticare) che ogni surplus da una parte implica necessariamente un deficit dall’altra. Non è fisica quantistica, è semplice contabilità. Pensare che i deficit siano irrilevanti o addirittura positivi è, per Flassbeck, una distorsione pericolosa della realtà, spesso funzionale a chi accumula surplus. Questo non è pessimismo cosmico, è un’analisi lucida dei rapporti di forza e delle conseguenze intrinseche di un sistema basato sulla competizione economica globale.

Storie dal Ring: Quando il Commercio Mostrava Già i Muscoli (Molto Prima di Trump)
Per suffragare la sua tesi, Heiner Flassbeck non si limita alla teoria. Tira fuori dal cilindro della storia economica episodi specifici, aneddoti vissuti in prima persona, che smascherano l’ipocrisia della narrazione dello “scambio pacifico”. Sono come flash che illuminano un campo di battaglia che molti preferirebbero non vedere.
Flash 1: Il Panico Tedesco del 1980. Flassbeck ci ricorda un evento quasi dimenticato, ma estremamente significativo. Nel 1980, la Germania Ovest registrò – una sola volta in 75 anni – un deficit nella sua bilancia dei pagamenti correnti. La reazione? Armonia? Accettazione serena? Niente affatto. “L’intera classe politica tedesca quasi impazzì”, ricorda Flassbeck. Questo singolo episodio di deficit scatenò un’ondata di panico e dibattiti accesissimi. Se i deficit fossero davvero irrilevanti o accettabili come parte di un “normale” scambio, perché mai una reazione così forte da parte della potenza economica europea? Questa paura viscerale del deficit, sottolinea implicitamente Flassbeck, rivela quanto fosse (e sia) radicata l’ossessione per il surplus, l’idea che “vincere” nel commercio significhi esportare più di quanto si importa, anche a costo di squilibri altrui.

Flash 2: L’Accordo del Plaza (Anni ’80). Ricordate quando le sette maggiori economie mondiali (il G7) si riunirono per concordare un deprezzamento del dollaro USA? Fu presentato come un esempio di cooperazione internazionale. Flassbeck lo legge diversamente: fu un atto quasi di forza, avvenuto “sotto la pressione del governo americano”, disperato per ridurre l’enorme deficit commerciale che stava strangolando la sua economia. Non fu un amichevole scambio di idee sul “bene comune globale”, ma un intervento pesante per correggere uno squilibrio diventato insostenibile, un chiaro segnale che i deficit commerciali americani (corrispondenti ai surplus di altri, tra cui Germania e Giappone) erano fonte di conflitto, non di armonia. Altro che scambio pacifico, fu un’operazione di riequilibrio imposta dalla potenza egemone, stanca di fare da “consumatore di ultima istanza” per il mondo.
Flash 3: Le Lamentele Americane (Un Classico). Flassbeck fa notare come, ben prima di Trump, i governi americani si lamentassero continuamente del fatto che Germania, Cina e Giappone stessero “sistematicamente sfruttando” gli USA, puntando a surplus commerciali permanenti e lasciando agli americani l’onere dei deficit. Queste non erano chiacchiere da bar, ma posizioni ufficiali espresse in consessi internazionali. Eppure, questa tensione costante, questo conflitto latente basato sugli squilibri commerciali, sembra essere “sfuggito” ai sostenitori della favola del commercio armonioso.
Flash 4: Flassbeck vs. Germania (Una Storia Personale). Qui Heiner Flassbeck condivide un aneddoto personale potente. Nel 1999, appena nominato Segretario di Stato al Ministero delle Finanze tedesco, riceve una telefonata dal suo omologo americano, il celebre Larry Summers. Summers esprime il desiderio di discutere una “divisione internazionale del lavoro” in cui gli USA non dovessero sopportare da soli il peso di stimolare l’economia mondiale (cioè, di assorbire i surplus altrui con i propri deficit). Flassbeck, economista eterodosso, concorda sulla necessità di un riequilibrio. Ma quando cerca di promuovere questa idea in Germania, cosa succede? Viene attaccato frontalmente. “Fui trattato – soprattutto dallo Spiegel – come un traditore della patria”. Questo episodio è cruciale: rivela la resistenza feroce all’interno dell’establishment tedesco a qualsiasi discussione che mettesse in discussione il modello basato sull’export e sui surplus commerciali, anche quando la richiesta veniva dal principale alleato e partner economico. La difesa del “modello tedesco” era (ed è?) più importante di un equilibrio globale sostenibile.

Questi flash storici dipingono un quadro molto diverso da quello idilliaco: un’arena internazionale dove gli interessi nazionali si scontrano, dove i surplus di uno sono i deficit dell’altro, e dove le dinamiche di potere, non l’armonia, dettano spesso le regole del gioco. Un gioco che, secondo Heiner Flassbeck, assomigliava già molto a un incontro di boxe, ben prima che Trump salisse sul ring.
Il Cuore della Critica di Flassbeck: L’Agenda-Politik Tedesca e l’Ipocrisia Europea
Se c’è un punto su cui l’analisi di Heiner Flassbeck diventa particolarmente incisiva, è quando si concentra sulla politica economica tedesca, in particolare sulla cosiddetta “Agenda-Politik” dei primi anni 2000 sotto il cancelliere Schröder. Per Flassbeck, questa politica è l’esempio emblematico di come la Germania abbia perseguito attivamente un vantaggio competitivo all’interno dell’Europa, contribuendo a creare squilibri enormi e duraturi, il tutto mentre magari si predicava la cooperazione.

Cosa prevedeva, in sostanza, l’Agenda-Politik secondo Flassbeck? Il suo obiettivo primario, afferma senza mezzi termini, era “fregare i partner europei attraverso il dumping salariale tedesco“. In pratica, attraverso riforme del mercato del lavoro e una forte moderazione salariale (spesso ottenuta con pressioni sui sindacati e precarizzazione), la Germania riuscì a ridurre drasticamente il costo del lavoro per unità di prodotto rispetto ai suoi vicini europei. Questo le diede un vantaggio competitivo enorme all’interno dell’Eurozona.
Il risultato? Un boom delle esportazioni tedesche, soprattutto verso gli altri paesi dell’area euro, e la creazione di enormi e persistenti surplus commerciali tedeschi. Il problema, sottolinea Flassbeck, è che i partner europei, intrappolati nella moneta unica, non potevano più difendersi svalutando la propria valuta, come avrebbero fatto in passato. Erano costretti ad assorbire le merci tedesche a basso costo, accumulando deficit commerciali speculari ai surplus tedeschi. Questo meccanismo, secondo Flassbeck, è stato uno dei fattori chiave dietro le difficoltà economiche di molti paesi del Sud Europa negli anni successivi.
E qui arriva l’ironia suprema, che Flassbeck non manca di sottolineare con sarcasmo. Proprio a causa di questi squilibri crescenti e dannosi, cosa hanno fatto i governi europei? Hanno introdotto procedure formali, con tanto di potenziali sanzioni, contro i paesi che presentano surplus commerciali eccessivi e permanenti (la cosiddetta Procedura per gli Squilibri Macroeconomici, MIP). “Perché mai?”, si chiede retoricamente Flassbeck. Se si trattasse solo di “scambio pacifico”, se i surplus fossero solo il frutto della “bravura” e andassero a beneficio di tutti, perché creare regole per limitarli?

La risposta, per Flassbeck, è ovvia: queste regole esistono proprio perché i surplus eccessivi sono un problema, sono fonte di squilibrio e tensione. Ma ecco il colpo di scena finale, che rivela le dinamiche di potere: “Se il ‘più bravo’ (chi accumula surplus) è anche il più potente, può facilmente ‘spiegare’ agli altri che, sì, le regole esistono, ma è meglio non applicarle, altrimenti il più potente indossa i guantoni da boxe“. In altre parole, la Germania, forte del suo peso politico ed economico, è riuscita spesso a evitare che queste regole venissero applicate con rigore nei suoi confronti, continuando a beneficiare del suo modello basato sui surplus commerciali, pur riconoscendone implicitamente la problematicità attraverso l’esistenza stessa delle regole europee.
Questa, per Heiner Flassbeck, è l’ipocrisia al cuore del sistema: praticare una competizione aggressiva, mascherandola da “sana competitività”, e poi usare il proprio potere per evitare le conseguenze delle regole create per gestire gli squilibri generati da quella stessa competizione. Un gioco tutt’altro che pacifico.

Trump sul Ring: Conseguenza, Non Causa. È Ora di Svegliarsi!
E così, dopo averci guidato attraverso decenni di competizione silenziosa, strategie nazionali aggressive ed equilibri di potere mascherati da armonia, Heiner Flassbeck arriva al punto di partenza: Donald Trump. Ma la sua conclusione è radicalmente diversa da quella del giornalista dello Spiegel.
Trump non è l’orco che ha distrutto il paradiso del libero scambio. Trump è, piuttosto, la conseguenza logica, quasi inevitabile, di un sistema che era già profondamente conflittuale e squilibrato. È il sintomo, non la malattia.
Quando Flassbeck scrive: “E ora arriva Trump e cerca di strappare i tedeschi dal loro pacifico mondo commerciale. Sì, è ora di svegliarsi!“, c’è una nota di amara ironia. Il “pacifico mondo commerciale” tedesco, come ha dimostrato, era tutt’altro che pacifico per i suoi partner commerciali. Era un mondo basato su una competizione vinta grazie a politiche specifiche (come l’Agenda-Politik e il dumping salariale) che hanno creato surplus commerciali a spese dei deficit altrui.

La metafora finale di Flassbeck è potente e diretta: “Chi per decenni tira pugni selvaggiamente intorno a sé non deve meravigliarsi se un giorno compare un tipo particolarmente grosso che non solo vuole boxare, ma sa anche farlo particolarmente bene“.
Il messaggio è chiaro: la Germania (e altri paesi focalizzati sui surplus) ha “tirato di boxe” per anni nell’arena del commercio internazionale, usando le sue armi (competitività dei costi, potere politico all’interno dell’UE) per vincere round dopo round. Ora è arrivato un concorrente (Trump/USA) che usa metodi forse più rozzi e diretti, ma che gioca essenzialmente allo stesso gioco: difendere l’interesse nazionale in un’arena competitiva. E lo fa con una forza e una spregiudicatezza che spiazzano chi si era abituato a vincere “elegantemente”.
L’invito di Heiner Flassbeck è quindi un appello al realismo. Smettere di raccontarsi la favola del commercio pacifico e riconoscere che la competizione tra nazioni è una realtà dura, con vincitori e vinti. Non si tratta di giustificare le politiche protezionistiche o le guerre commerciali, ma di capire le loro radici profonde, che affondano in decenni di squilibri tollerati e, anzi, perseguiti attivamente da alcuni attori chiave.

Oltre le Favole, la Lezione Scomoda di Heiner Flassbeck
Alla fine di questo viaggio guidato dall’analisi critica di Heiner Flassbeck, l’immagine rassicurante del commercio internazionale come un grande picnic globale, rovinato solo dall’arrivo di un maleducato, si sgretola completamente. Flassbeck, con la sua consueta lucidità e il coraggio di andare controcorrente, ci costringe a guardare in faccia una realtà più complessa e decisamente meno confortante.
Il “ring” del commercio globale era già pieno di pugili ben prima di Trump. La competizione tra nazioni, spesso condotta con strategie aggressive come il dumping salariale o lo sfruttamento delle regole a proprio vantaggio (come nel caso dei surplus commerciali tedeschi persistenti all’interno dell’Eurozona), è stata la norma, non l’eccezione. Le tensioni, i conflitti latenti, le crisi economiche generate da questi squilibri sono parte integrante della storia recente, anche se spesso ignorate da una narrazione dominante focalizzata sulla presunta armonia dello scambio.
La critica economica di Heiner Flassbeck non è fine a se stessa. È un potente richiamo alla necessità di comprendere le vere dinamiche di potere e di interesse che muovono l’economia globale. Ci sfida a porci domande scomode: è sostenibile un sistema dove alcuni paesi accumulano sistematicamente surplus a scapito dei deficit altrui? Quali sono le conseguenze sociali e politiche di una competizione sfrenata sulla competitività dei costi? Possiamo davvero parlare di “partenariato” quando le regole vengono applicate in modo diseguale?
L’arrivo di figure come Trump e l’intensificarsi delle tensioni commerciali non sono fulmini a ciel sereno. Sono, secondo la lettura di Flassbeck, le manifestazioni più evidenti di contraddizioni che covavano da tempo sotto la cenere. Aver ignorato i segnali, aver continuato a celebrare un modello basato su squilibri crescenti, ci ha resi impreparati ad affrontare le conseguenze.
Ringraziamo quindi Heiner Flassbeck per la sua voce fuori dal coro, per la sua capacità di smontare narrazioni comode ma fuorvianti. La sua analisi ci lascia con un compito difficile ma necessario: ripensare il commercio internazionale non come un ideale astratto, ma come un’arena concreta di interessi contrastanti, che richiede regole e meccanismi di riequilibrio reali ed efficaci, se vogliamo evitare che la “boxe” degeneri in una rissa globale senza vincitori. È ora di svegliarsi, davvero.