Riuscirà la scelta di Carola Rackete come candidato di punta della Linke alle elezioni europee ad entusiasmare l’elettorato di sinistra frustrato per l’insicurezza economica e sociale e impaurito dall’incessante afflusso di profughi e migranti verso la Germania? La Berliner Zeitung ha dei forti dubbi

Il partito della Linke, nel corso del suo ultimo congresso ad Augsburg di domenica scorsa ha proseguito in maniera coerente il suo cammino verso i margini della società. La scelta di Carola Rackete, capitana della nave ONG dei rifugiati, come candidata di punta per le elezioni europee della Linke, è solo una delle prove di questo stato di cose. Il partito ha deciso di ignorare le preoccupazioni di una larga maggioranza della popolazione di fronte ai problemi irrisolti nell’integrazione dei numerosi rifugiati.
In questo modo, nella Linke viene a mancare un’offerta politica per tutti quei milioni di persone che desiderano una politica migratoria regolamentata, equilibrata e auspicabilmente utile per tutte le parti coinvolte. Queste persone non sono solo estremisti xenofobi, ma anche coloro che temono per la stabilità del sistema politico in Germania e in Europa, che sono in gran parte ancora democrazie liberali. La Linke vuole l’estremo: porte aperte. Le conseguenze dovrebbero essere affrontate da altri.
Ciò spaventa proprio coloro che la Linke vorrebbe invece conquistare con le sue promesse di maggiore giustizia sociale. Soprattutto nelle fasce più deboli socialmente, tra coloro che vivono in modo permanente in condizioni di precarietà le preoccupazioni e le paure riguardo al fatto che la politica delle porte aperte possa mettere in pericolo l’equilibrio della Germania sono particolarmente grandi.
Sì, la Linke mette in guardia contro i tagli nel “sociale, nella salute, istruzione ed educazione, alloggio e trasporto Pubblico” e chiede: “Qui è necessario fornire più fondi! La vita con la carenza di cure, la miseria nell’istruzione e la mancanza di alloggi sta logorando molte persone.” E questo potrebbe interessare molte persone, soprattutto nella Germania dell’est, dove fino a pochi anni fa erano radicate le forti basi elettorali della Linke e la forza per un ingresso sicuro nei parlamenti veniva da lì. La Linke invece ha ora deciso di staccarsi da queste radici. Nessuno crederà davvero che Carola Rackete candidato della Linke, attiva nel Mar Mediterraneo, possa portare gli interessi dell’est al Parlamento europeo o che tenga conto delle difficoltà dei comuni nell’est e nell’ovest con il suo focus sulla politica migratoria aperta.

Da molti anni si sgretola ciò che rendeva forte il partito: la sua attenzione verso i più deboli nella società. Un tempo ovunque c’erano gli operatori della PDS, poi della Linke: nei parlamenti locali, nelle associazioni ambientali, nelle organizzazioni culturali. Erano le persone accanto a te, che avevano le stesse preoccupazioni. Ma ora è finita. In molte parti, questo vuoto è stato riempito dalle donne e dagli uomini di AfD con le loro posizioni xenofobe e illiberali.
Janine Wissler, co-presidente del partito, si è lamentata nel suo discorso delle “strutture deboli sul territorio”. La Linke deve porsi auto-criticamente la domanda su perché “molti condividano gli obiettivi del partito e tuttavia se ne sono allontanati”.
E perché mai? Prendiamo il gender. Proprio i socialmente deboli menzionati dal partito non gradiscono affatto questi mostri linguistici, li considerano un progetto arrogante per rieducare masse politicamente immature. Ad Augsburg, naturalmente, si è parlato ancora una volta di coloro che ricevono Hartz IV (sussidio sociale in Germania). Ma non tutti i militanti della Linke sono uguali. In Turingia si dice: gender? No, grazie! Ad Amburgo, d’altra parte, la Linke ha risorse per il dibattito su quale sia la forma di gender più adatta per gli ipovedenti, se la sottolineatura, due punti o l’asterisco.
Addirittura il giornale di orientamento politico a sinistra Der Freitag ha avvertito i compagni: “L’odio per il gender è il collante che unisce persone completamente diverse e rende facile alla destra mobilitarsi contro tutto ciò che è di sinistra.” Ed è così, ma la Linke minimizza l’importanza di questa guerra culturale.
Con chi, quindi, vorrebbe fare “un nuovo inizio” e “un cambiamento”, come ha annunciato Janine Wissler nel suo discorso al congresso del partito? Secondo la capitana Rackete, la Linke dovrebbe essere una versione dei Verdi, ma migliorata. Altri si considerano i socialdemocratici migliori. Gli ultimi sondaggi intravedono però qualche dubbio in piu’: meno del cinque percento degli elettori riconoscono alla Linke il potenziale per rappresentare interessi importanti.
Un certo potenziale elettorale si trova in circoli politicamente carichi, impegnati in modalità migrante, anticoloniale, femminista, queer, internazionalista e radicale. Queste persone, per lo più giovani, si fanno notare rumorosamente attraverso i social media, ma l’idea che si tratti di un potenziale elettorale numericamente forte per la Linke è un’illusione. E proprio ora diventa evidente quanto i gruppi che agiscono con una forte retorica anticoloniale siano vicini all’antisemitismo. L’ex senatore alla cultura di Berlino, Klaus Lederer, ha sostenuto tali attivisti con milioni durante il suo mandato, ora guarda con qualche disperazione la loro azione e manifesta distanza.
Tensioni, conflitti, contraddizioni, marginalità trascinano la Linke verso il basso da anni. Sahra Wagenknecht è stata solo uno dei tanti fastidi. La narrazione della Linke di Augsburg è: ci siamo svegliati da un incubo, partiamo liberamente e freschi verso la luce. Da dove deriva questo ottimismo? Nessuna idea.